Due anni fa iniziò la guerra in Ucraina ed è inutile ripercorrere motivazioni, colpe, genesi. La triste realtà, due anni dopo, dopo decine di migliaia di morti, vede un altro conflitto in corso in Medioriente e lo spettro di guerre che di fatto richiamano a un coinvolgimento mondiale.
In questi due anni abbiamo constatato la debolezza oggettiva dell’Europa, che pensavamo potesse essere un luogo di mediazione e di potenza efficace, in grado di recepire i cambiamenti geopolitici che sono tuttora in corso e che potrebbero essere ancora più sorprendenti nel prossimo futuro. Sia l’Europa che la Nato sembrano vivere su orizzonti che appartengono a un’epoca in cui un blocco mondiale esteso era dominato dal socialismo reale.
E invece, come peraltro hanno sostenuto anche uomini di spessore come Marco Minniti, Massimo D’Alema , per guardare a un recinto di sinistra, il mondo è profondamente cambiato. L’India ha superato la Cina nella primazia demografica, i Paesi del Brics hanno un’influenza economica rilevante, l’Africa è per molti versi colonizzata dalla Cina e tra pochi mesi gli Usa eleggeranno il nuovo Presidente.
Che accadrebbe se venisse eletto Trump? Sono domande che lasciano aperte le questioni.
Molti di noi pensavano che il conflitto in Ucraina durasse poche settimane, poi abbiamo visto la reazione di Kiev e oggi registriamo una nuova avanzata russa.
In mezzo, ci sono vite strappate e sono tantissime.
Se c’è una cosa che si può dire è che il modello di alleanza tra socialisti e popolari in Europa è stantio e insufficiente. Non solo in politica estera ovviamente ma in qualsiasi contesto economico e sociale.
Lo stesso D’Alema ha recentemente ricordato come sostanzialmente le questioni inerenti lo spread e l’economia globale siano in mano a oligarchie ristrette.
E persino un liberista come Mario Draghi ha sottolineato i cambiamenti dell’ordine mondiale e le necessità di un’Europa che di fatto non ha una sua identità.
Eppure, tutto il territorio della vecchia URSS è geograficamente o quasi Europa e la tradizione culturale straordinaria della Russia ( con un Ottocento che ha regalato significati identitari unici attraverso la letteratura, la filosofia e la musica) richiama alle possibilità che accada qualcosa di diverso.
Nel solco della partecipazione, dei diritti umani e della democrazia ovviamente, categorie che però richiamano a una impostazione che non preveda più una divisione tra buoni e cattivi come avvenne subito dopo Yalta.
L’occasione persa dall’Europa con una Costituzione unica e con il richiamo alle tradizioni cristiane vent’anni fa rimane un vulnus non irrilevante.
Porre fine alle guerre in corso è la prima emergenza. Ma questo avverrà probabilmente in una nuova dimensione, all’interno della quale l’Europa attuale recita un ruolo di terzo piano. La speranza è che i prossimi mesi sappiano interpretare una realtà nuova. Nell’interesse di una pace che riguardi ogni singola nazione e che non passa da l’assenza di politiche identitarie e da una lettura di eventi assolutamente sbagliata.
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