LAMEZIA TERME Un imprenditore «colluso». Un «punto di raccordo per le estorsioni, in quanto considerato dalle imprese presenti sul territorio quale soggetto deputato a fare da tramite con il clan per mettersi a posto prima di eseguire dei lavori». Tra le persone finite in carcere nel blitz “Scolacium” della Distrettuale antimafia di Catanzaro, c’è anche il classe ’69, Paolo Bova, finito in carcere. Il reato ipotizzando nei suoi confronti è quello di concorso esterno. Il gip nell’ordinanza sottolinea che, sebbene in un recente processo sia stato condannato in primo grado, «ha assunto le vesti di persona offesa proprio nel reato estorsivo»
Attivo nella produzione, preparazione e imbottigliamento dell’olio d’oliva attraverso un’azienda con sede ad Amaroni, nel Catanzarese, anche se non formalmente inserito nell’organigramma societario, a Paolo Bova è riconducibile anche la “Costruzioni Bova s.r.l.” formalmente intestata al fratello. Così come scrive il gip nell’ordinanza l’imprenditore «ha deciso di prendere le distanze dal sodalizio proprio dal timore di essere, per la vicinanza ed il collegamento negli anni al clan, sottoposto ad attività d’indagine». Lo stesso imprenditore avrebbe inoltre deciso di «sottostare al pagamento di somme a titolo estorsivo» per «un reciproco vantaggio» come benefici in termini di esecuzione di svariati appalti pubblici e sub appalti.
Il punto di rottura tra il clan Bruno e Paolo Bova è stato individuato dall’accusa nel momento in cui l’imprenditore è diventato vittima delle estorsioni effettuate da Danilo Vitellio, Gennaro Felicetta e Fabrizio Olivadoti, portando all’arresto di tre soggetti e alle condanne dei primi due. «C’è un’indagine e siamo tutti indagati… digli che mo sta cosa me la vedo io, me la vedo io, parlo con Antonio…». A parlare è proprio Paolo Bova, intercettato mentre discute con Danilo Vitellio. Un dialogo dal quale, annota il gip nell’ordinanza, si desume come l’imprenditore, cambiando rotta rispetto al passato, decide di sottrarsi momentaneamente agli impegni assunti con il sodalizio. «…non puoi fare una cosa per non far succedere un bordello, vai dove, vai dove Gennaro, ti tiri fuori…» dice Vitellio a Bova che risponde: «Non è che non voglio più, mo non è il periodo, non voglio…». Nel corso della conversazione intercettata, Vitellio e Bova continuano a discutere timore che quest’ultimo provava per l’avere riscontrato l’assidua presenza dei Carabinieri in luoghi a lui riconducibili. E, soprattutto, spiega di non voler più partecipare ad incontri in luoghi appartati con Felicetta. «Chiudi, se vuoi chiudere Paolo, se vuoi chiudere il discorso… il discorso con, con la famiglia sua, dei Bruno, chiudi…» gli risponde Vitellio. «E comunque non sto lavorando, non sto facendo niente apposta… che dura tre anni, due, tre, quattro anni» gli fa eco Paolo Bova, «aspettiamo che finisce, quando finisce… se non succede nulla…».
Il ruolo ricoperto nel gruppo criminale da Paolo Bova – secondo il gip – emerge da un’altra conversazione intercettata. È il 28 novembre 2020 quando Vitellio Danilo lamentava a Paolo Bova che un imprenditore impegnato ad eseguire alcuni lavori pubblici, «non aveva comunicato al sodalizio mafioso l’inizio dei lavori di una strada, neppure veicolando la notizia attraverso lo stesso Bova». La risposta di Bova è emblematica: «A me non me ne fotte!». «A te non te ne fotte?» replica Vitellio, «ma Paolo ma tu, gliel’hai detto a lui che tu te ne fotti? Soprattutto… lo sa lui?». Poi il monito: «Se ti arrestano vedi che escono tutto mo’…» e la consapevolezza di Bova: «…ma a me già una volta la passai liscia… vent’anni…».
Di particolare importanza, secondo il gip di Catanzaro, sono le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Salvatore Danieli, il quale, nel corso di diversi interrogatori, Io ha indicato come «figura assai vicina a Giovanni e Giuseppe Bruno, tanto che le imprese edili, riferibili a Paolo Bova, nel corso degli anni, si sono aggiudicate vari appalti pubblici, prevalentemente nel comune di Amaroni». Dalle dichiarazioni di Danieli «è possibile tratteggiare – scrive il gip – il ruolo di “intermediario” tra la consorteria criminale e le imprese aggiudicatarie di determinati appalti pubblici per lavori da effettuarsi nell’area territoriale di riferimento (il comune di Amaroni) ricoperto da Bova». Significative, ad esempio, le dichiarazioni in merito alla realizzazione del Palazzetto dello Sport del Comune di Amaroni. Il pentito racconta di un incontro che organizzato nel capannone di Paolo Bova, alla presenza di Francesco Bruno, Luciano Babbino e lo stesso Salvatore Danieli, per concordare e fissare l’importo che l’imprenditore avrebbe dovuto corrispondere al gruppo criminale. Secondo il collaboratore, inoltre, anche sotto la “reggenza” di Francesco Bruno, dopo la morte di Giovanni e Giuseppe Bruno e fino all’esecuzione dell’operazione “Jonny”, Bova «aveva continuato a rivestire il ruolo di “intermediario”, “gestendo” i rapporti tra i diversi imprenditori e gli esponenti della cosca Bruno». (g.curcio@corrierecal.it)
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