LAMEZIA TERME «Facevo parte della criminalità organizzata e della consorteria di Briatico guidata da mio padre, Antonino Accorinti, fino all’ultimo mio arresto. Il gruppo era guidato da mio padre e da Francesco Giuseppe Bonavita. Poi c’ero io, mio cognato Salvatore Muggeri, Saverio Prostamo, Marco Borello, Giacomo Borello, Giuseppe Armando Bonavita, Francesco Marchese, Alessio Belvedere, Vincenzo Belvedere e Giuseppe Comito». Inizia da questa ricostruzione l’interrogatorio, in aula, del nuovo collaboratore di giustizia Antonio Accorinti, ascoltato nell’ultima udienza del processo “Imponimento” di scena davanti ai giudici del Tribunale di Lamezia Terme. Una inchiesta che mira a far luce sul controllo del clan Anello-Fruci sul territorio della costa tirrenica catanzarese, fino alle porte di Vibo Marina. Alle domande formulate dal pm del pool antimafia, Antonio De Bernardo, il pentito ha ripercorso la genesi criminale del gruppo, il controllo sul territorio e sui villaggi turistici ma anche di elezioni regionali.
«Dagli anni ’90 vedevo molti soggetti appartenenti alla criminalità organizzata frequentare mio padre, poi un ruolo attivo l’ho avuto dal 2006» ha spiegato il collaboratore al pm De Bernardo, «dopo l’arresto di mio padre nell’operazione Odissea». Una volta in carcere «ma anche dopo per una serie di motivi si era un po’ allontanato da alcuni soggetti e quindi io, mentre lui era detenuto, poi con la sorveglianza speciale, ho avuto un ruolo più attivo». Rispondendo alle domande del pm, Accorinti racconta delle frequentazioni criminali del padre con alcuni degli esponenti di spicco della criminalità vibonese. «Molto spesso con Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, Nazzareno Colace, Tonino La Rosa, Peppone, Peppe Accorinti, Giuseppe Antonio Accorinti, Fiamingo Raffaele, più che altro con queste persone, Antonio Prenesti, Agostino, Papaianni, Mimmo Polito, il gruppo di Pantaleone Mancuso soprattutto e Peppe Accorinti più che altro». Il pentito precisa poi che a comandare era Pantaleone Mancuso mentre il padre e tutti gli altri erano sotto di lui, «alle sue dipendenze».
«Io l’ho visto parecchie volte accompagnarsi con Barba, parlare con Guastalegname e poi si interfacciavano con il dottore Stillitani e con l’Ingegnere Pentella che credo fosse allora il direttore dei lavori». Il collaboratore di giustizia, incalzato dalle domande del pm, fa riferimento ad un periodo circoscritto tra il 1997 e il 1998 e alle figure di Pantaleone Mancuso e Franco Barba. «Parlo di Emanuele Stillitani, non quello che fu Sindaco e Consigliere Regionale ma dell’altro fratello, che era perennemente presente sui cantieri» precisa poi Accorinti. A proposito dei lavori, il pentito spiega che Barba e Pantaleone Mancuso erano amici tra loro e che fino «fino al 2002 decideva tutto Pantaleone Mancuso, fino alla data del suo arresto. Le ditte che dovevano entrare a rifornire il villaggio le decideva lui, tra cui la ditta di frutta di Mimmo Polito, che era comunque un sodale di Pantaleone Mancuso». «Per quanto riguarda le assunzioni della guardiania» ha raccontato ancora Accorinti «era delegato Saverio Prostamo, però diciamo che si sono susseguite varie persone, ha lavorato qualche persona dei Giampà, un nipote del defunto Damiano Vallelunga, Giuseppe Comito…».
Secondo il racconto di Accorinti, inoltre, quelli del Club Med «sapevano che il controllo del villaggio a livello criminale era gestito da Prostamo che aveva il potere di fare assumere queste persone senza neanche pressioni». Poi un episodio risalente al 2003. «Dopo l’arresto di Pantaleone Mancuso, successe che l’economo gli mandò la frutta indietro perché si accorse, dopo la terza volta, che non era la qualità e la quantità giusta. Fu poi Polito, con Prenesti a picchiare l’economo». «Lo picchiarono perché gli mandò la frutta indietro. Dopo questo episodio, affinché non succedesse più una cosa del genere, il dottore Stillitani disse a Prostamo: “qualsiasi problema fammelo sapere che intervengo io, perché queste cose non vanno bene, altrimenti qua salta tutto”».
Altro tema cruciale dell’udienza, e centrale nell’inchiesta della Dda, quello legato ai voti per le elezioni regionali. «C’era Pantaleone Mancuso in arresto, quindi penso 2004, 2005, una cosa del genere» spiega Accorinti. «Venne Prostamo a portare questi volantini di pubblicità elettorale e ci disse: “ha detto il dottore che il fratello si presenta al Consiglio Regionale e che gli servono un po’ di voti”, e ci disse anche di non fare troppa pubblicità nel senso di non esporci tanto». «Cioè – ha spiegato – nel senso di non raccogliere voti a tappeto come se fosse, per non capire che eravamo interessati nel senso alle altre persone estranee ma a livello familiare, di gruppo, alle persone più strette, di non esporci tanto». E così, secondo il racconto del pentito Accorinti, la raccolta dei voti avvenne tra gli amici di Pantaleone Mancuso, «a qualcuno che potesse raccogliere i voti per lui. E noi li demmo a Michele Palumbo, ad Agostino Papaianni, li portai io direttamente. Li portai a Nicotera a Tita Buccafusca, a Mimmo Polito…». E ancora: «Raccogliemmo tutti i voti che potevamo, senza esporci più di tanto, per come ci era stato detto». (g.curcio@corrierecal.it)
x
x