LAMEZIA TERME «Se sarò chiamato a rappresentare le parti civili al processo, penso che chiamerò a testimoniare il presidente del Consiglio, il ministro dell’Interno e chi ha avuto ruoli e responsabilità in quella vicenda: chi ha fatto e non ha fatto cosa. Non sarà un processo al governo ma allo Stato, non contro il singolo esponente delle forze dell’ordine bensì dello Stato che risponde delle sue articolazioni periferiche». Così, nella lunga intervista concessa a Danilo Monteleone per “Telesuonano”, l’avvocato Francesco Verri, uno dei legali del pool difensivo dei familiari delle vittime della strage di Steccato di Cutro.
Nelle sue parole, anzitutto il racconto di una Calabria solidale ed accogliente, lontana dai cliché, capace di slanci tanto nelle ore del naufragio quanto nei giorni scorsi, in occasione delle celebrazioni in ricordo della tragedia del 26 febbraio 2023, il drammatico naufragio davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro, che ha causato 94 vittime, 35 delle quali bambini, e una trentina di dispersi.
«La Calabria – commenta Verri – ha mostrato il suo volto migliore l’anno scorso accogliendo superstiti e familiari delle vittime, dando loro conforto e partecipando al loro dolore. In un anno è stato fatto un grande lavoro delle associazioni e della stampa, noi avvocati abbiamo accettato un ruolo complesso. In queste ultime ore la città e la regione hanno fatto una gran bella figura, hanno voluto commemorare in forma solenne questi nostri concittadini, lontano dallo stereotipo della ‘ndrangheta che purtroppo ci hanno appiccicato addosso: certo la ‘ndrangheta esiste ed è un fenomeno da combattere ma pensarla in una dimensione esclusiva significa cedere a una narrazione falsa e sbagliata, da contrastare narrando proprio eventi come le reazioni al dramma del 26 febbraio».
Nella trasmissione andata in onda ieri sera su L’altro Corriere tv (canale 75) si passa poi a un «parallelismo provocatorio»: quello tra il Consiglio dei ministri straordinario a Cutro, il vertice della famosa dichiarazione di guerra della premier Meloni ai trafficanti di esseri umani “in tutto il globo terraqueo” – ma con nessuno dei politici che raggiunse il Palamilone, una gigantesca tomba con decine di corpi dei migranti (lì andò solo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – e il primo anniversario di quei tragici fatti; in questi giorni, alle iniziative di ricordo non c’era traccia del governo fatta eccezione per una insolita visita – riservata e non aperta alla stampa – da parte del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
«Questa distanza – commenta l’avocato Verri – è un fatto oggettivo. Però sull’inseguimento dei trafficanti dico che quella della Meloni è una frase suggestiva ma falsa: proprio in relazione a quel naufragio si verifica una indifferenza rispetto al fenomeno criminale perché ad aspettare i presunti scafisti e quella barca non c’era nessuno, né in mare né a terra, nemmeno per arrestarli. Quella notte l’Italia non consumò una operazione di salvataggio, è questo è provato dalla circostanza che ci furono morti e dispersi. E in terra? Quando abbiamo sentito in aula il primo carabiniere che accorse sulla spiaggia di Cutro dopo il naufragio, confermò che il suo comando non ne sapeva nulla, né chi aveva finito il turno prima di lui: ci si stava occupando di un furto di metallo, quindi nessuna operazione di polizia per arrestare gli scafisti. L’Italia non si era organizzata. Prima di cercarli in tutto il mondo ci si poteva organizzare per prenderli lì… Uno di loro è fuggito in Austria e arrestato lì. Quella della premier Meloni è propaganda e lo dico su basi oggettive. Certo, si fa notare il fatto che nessun componente del governo visitò quelle bare e si recò sulla spiaggia di Steccato di Cutro. così come la visita “segreta” di Piantedosi lascia il tempo che trova. Sui risarcimenti il ministro dice che l’Italia farà la sua parte, ma per il momento non è pervenuta nessuna richiesta di risarcimento. Penso che aspettino la conclusione delle indagini nel procedimento contro le autorità italiane, forse per costituirsi contro i loro stessi uomini, e lì forse ne vedremo delle belle».
Di qui al discorso sulle responsabilità il passo è breve. «Lo Stato ha le sue responsabilità e risponde del rispetto della convenzione europea dei diritti dell’uomo anche davanti alla corte di Strasburgo, per violazione dell’articolo 2 del diritto alla vita. Poi i reati individuali vengono perseguiti penalmente. Esiste una responsabilità pubblica generale e una personale. Nei procedimenti penali il pool di cui faccio parte – continua Verri – sta cercando di definire il fondamento dei risarcimenti: accertare i fatti, attribuirli. I giudizi civili si alimenteranno di tutte le prove che raccoglieremo nei procedimenti penali. Non abbiamo accesso diretto a una serie di informazioni a cui invece la Procura ha accesso. Il serbatoio a cui si attinge per le richieste di risarcimento sono i procedimenti penali, quindi credo che abbiano una funzione trainante. Lo Stato risponde dei comportamenti verso i suoi concittadini come di quelli che si trovano sul suo suolo: aveva il dovere di difendere, proteggere e salvaguardare la vita di quelle bambine e bambini, ragazze e ragazzi, donne e uomini. C’è una responsabilità diretta oltre che indiretta dello Stato in quanto datore di lavoro degli appartenenti alla Guardia costiera e Guardia di finanza».
La barca della tragedia e le segnalazioni. «Il caicco non è un ufo: parte da un punto e lasciando tracce arriva in un altro punto. Viene avvistato da un aereo Eagle One di Frontex che comunica la notizia alle autorità italiane: riscontra oblò aperti – d’inverno, con mare forza 4 – e vede poche persone in coperta. Invita ad occuparsene. Il messaggio, che non è oscuro né criptico, viene decodificato dalla Guardia di finanza, che quella notte a penna scrive “avvistata da Eagle One una barca con migranti”. Il dato è testuale, nero su bianco, nel brogliaccio delle attività di quella notte. A quel punto le autorità italiane sono a conoscenza di quell’avvistamento. L’attività di pubblico ministero, giudice e avvocato consiste nel combinare fatti e norme: il diritto del mare dice che in quei casi – cito la raccomandazione del commissario per i diritti umani presso il Consiglio d’Europa del 2019 – bisogna considerarla in pericolo per definizione dal momento in cui lascia il paese d’origine, perché si sa che è sovraccarica e governata da personale inadeguato e potrebbe scassarsi, a maggior ragione in inverno con mare freddo, vento forte, “strong wind” come annota Frontex, e onde alte due metri. O si pensa che possa svanire nel nulla o bisogna occuparsene, anche perché i presunti scafisti non possono pensare di sbarcare in un porto come fossero croceristi: la prospettiva è l’arresto. In questi casi si va incontro all’imbarcazione e si conduce in sicurezza nel porto, oppure si organizza una operazione di “search and rescue” se non ci sono le condizioni per scortarla e condurla verso il porto. In entrambi i casi di interviene, come del resto hanno sempre fatto Guardia costiera e Guardia di finanza, spesso insieme e in condizioni molto più favorevoli, ad esempio d’estate. Dovevano intervenire insieme, invece non andò nessuno. La Guardia costiera ha mezzi e uomini formati per questo».
C’è poi il caso, molto paradigmatico, della Asso28. «Nessuno invece allerta nemmeno la Asso28 che sta facendo manutenzione per la piattaforma dell’Eni: è la barca il cui armatore è stato processato proprio per aver salvato dei migranti, è quell’armatore a proposito del quale si è pronunciata di recente la Corte di Cassazione dicendo che consegnare i migranti alle autorità libiche è un reato perché potrebbero andare incontro a trattamenti inumani e degradanti. Asso28 è già stata impegnata in operazioni di salvataggio, sa farlo, è sul posto: bastava avvertirla me nessuno lo fa. Si pensava che la barca svanisse? Si doveva intervenire. D’altra parte, quando il pescatore per primo interviene per soccorrere chi sta annegando, telefona alla Guardia costiera segnalando che c’è uno sbarco – lui non dice naufragio – dall’altro capo rispondono: sì, lo sappiamo. Il pescatore lo ha riferito in aula nel processo a carico dei presunti scafisti che hanno scelto il dibattimento in rito ordinario. Quindi sappiamo che la Guardia costiera fosse a conoscenza dello sbarco, eppure non c’era nessuno pronto a soccorrere né in mare né a terra».
E dire che quello scenario non era nuovo a Crotone come su tutta la costa joncia calabrese. «Fino a quel momento i soccorsi hanno brillato, in casi analoghi e con entrambe le autorità a operare, anche a 80 miglia e non a 40, con mare calmo. E allora sul piano oggettivo penso a sbagli e omissioni che stabiliremo a chi attribuire con tutte le garanzie del caso e nel rispetto della presunzione di non colpevolezza. Detto questo – dice Francesco Verri – mi aspetto dagli indagati che ci dicano come stanno le cose: questi sbagli e omissioni sono attribuibili soltanto a loro? Hanno cioè agito in totale e perfetta autonomia, dunque si assumono la responsabilità di quello che è successo o non è successo quella notte, o hanno ricevuto delle direttive in ragione delle quali hanno deciso di agire in quel modo, coperti da ordini di rango superiore che arrivavano dall’alto? Fin quando non vedremo le carte non potremo saperlo. Io glielo chiederò. Se si sottoporranno all’esame nell’udienza preliminare o nel dibattimento: speriamo che ci dicano la verità… Senza carte, sms o whatsapp devono essere loro a dircelo. Qualcosa il comandante della Guardia costiera, fuori dal palazzetto dello sport dove erano stipate le bare delle vittime, ha detto: ha lasciato intendere qualcosa ma non sappiamo se è stato sentito dall’autorità giudiziaria e nel caso cosa ha risposto: di certo lo chiameremo nel processo e se non è indagato sarà sentito come testimone quindi ha l’obbligo di dire la verità. Lo interrogheremo. Certo questo processo non sarà un pranzo di gala per nessuno, non lo prepareremo con leggerezza e superficialità. È chiaro che sarà un banco di prova».
Il legale ribadisce che «i precedenti ci confermano che la rotta che conduce a Crotone è nota per il traffico dei migranti, non di droga: quella è Gioia Tauro. Nel momento in cui c’è una nave a fari spenti verso Crotone la ragionevole deduzione di tutti è che si tratta di trasporto di esseri umani, gli equivoci sono stati costruiti a tavolino il giorno dopo. In realtà quella notte la situazione era estremamente chiara: la Guardia di finanza decripta correttamente il messaggio pervenuto da Frontex. A terra i carabinieri non ne sapevano nulla, la polizia meno che mai, la Guardia costiera a terra arriva alle 5.35, riceve una telefonata alle 4.30 ma già sa, come dice il pescatore; via mare alle 6.50, tre ore dopo il naufragio che si colloca grosso modo intorno alle 4 o 4.15 la Guardia costiera effettua il salvataggio di due uomini – e purtroppo tira su il cadavere di un bambino – alle 6.50, nero su bianco da relazione della Guardia costiera. Cosa ha fatto in queste tre ore? Perché non si è mossa subito, per lo meno dopo il naufragio? Zio e fratello di un bimbo morto di freddo hanno detto in incidente probatorio di essere rimasti aggrappati a un legno per tre ore in attesa di soccorsi, è sembrata una esagerazione e invece dalla relazione della Guardia costiera la circostanza è stata confermata. La domanda è: se fossero arrivati prima avrebbero salvato quel ragazzino e anche altre persone? C’è anche il tema dei soccorsi dopo la notizia del naufragio: quelle immagini girate di giorno con le coperte prestate dagli abitanti del luogo e la signora premiata da Mattarella sono giustificabili? Lo Stato dov’era? Bene l’sncomio solenne per la popolazione, ma le istituzioni cos’hanno fatto?».
Insomma, si è trattato di una decisione criminale, sottovalutazione o sciatteria di sistema?
«Con il dolo staremmo parlando di una strage di Stato. Non sappiamo se ci sono state negligenze, le indagini però si sono indirizzate verso i reati colposi, con negligenze imperizie inadeguatezze e superficialità», risponde Verri.
Resta i piedi l’interrogativo, 12 mesi dopo la tragedia in mare, sulla catena di eventuali omissioni o errori di valutazione: «Ci diranno loro stessi se si tratta di una tragica serie di coincidenze che però presuppongono la sottovalutazione di cui sopra, o invece hanno avuto ordini e di che natura. In questa storia manca proprio la parola dei protagonisti in negativo. Essendoci indagini in corso, è giusto e capisco il riserbo. Non è una critica ma registro questo. Quando conosceremo il loro punto di vista sapremo di più e potremo rispondere ai dubbi».
Un anno dopo ci si chiede: quando avremo una sentenza?
«Non è un tempo eccessivo e comunque non è passato invano. Siamo vicini alla conclusione delle indagini per quanto riguarda le autorità italiane. Si stanno celebrando a tamburo battente i processi sui presunti scafisti e in un caso si è arrivati anche a sentenza di condanna, ci sono stati gli incidenti probatori. La Procura della Repubblica di Crotone è piccola e ha carenze di organico ma non è stata con le mani in mano. Ha fatto davvero del suo meglio e creo che stia per terminare il suo lavoro: servono attenzione e cautela per provare tutto correttamente,ha fatto bene a prendersi il suo tempo per le indagini preliminari e credo che entro l’anno inizierà il processo».
«Io ho chiamato il mio fascicolo D26, come il processo a carico degli attentatori del Bataclan V13, venerdì 13 dal giorno della strage come anche si intitola il libro di Emmanuel Carrere. Sarà un processo epocale in relazione alle scelte sulle politiche di immigrazione. Chi ha sfidato quelle condizioni meteo lo ha fatto perché doveva salvarsi e scappare da Paesi dove si vive in condizioni inumane, e non aveva alternative, accettando di affrontare un viaggio che può costare la vita. Dovremmo evitare che queste persone giochino alla roulette russa – conclude Francesco Verri –; fare in modo che si rifugino nella protezione internazionale. Da notare che queste donne e uomini non erano diretti in Italia: lo dimostrano i superstiti che sono soltanto transitati da qui – solo in due sono rimasti – per andare in Germania o in altri Paesi dell’Europa». Microstorie di gente disperata, di passaggio, il cui destino è finito nelle acque di Calabria.
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