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Il ricordo

In memoria di Gianfranco Riccelli, musicista di talento

Gianfranco Riccelli era un Ufficiale dei Carabinieri ed era un musicista di talento. Aveva avuto collaborazioni importanti, tra l’altro, con Francesco Guccini, Claudio Lolli. Aveva fondato un grup…

Pubblicato il: 04/03/2024 – 9:41
di Felice Foresta
In memoria di Gianfranco Riccelli, musicista di talento

Gianfranco Riccelli era un Ufficiale dei Carabinieri ed era un musicista di talento. Aveva avuto collaborazioni importanti, tra l’altro, con Francesco Guccini, Claudio Lolli. Aveva fondato un gruppo musicale gli Arangara. Aveva messo in musica, nel 2019, alcune mie poesie nel suo ultimo album dal titolo “Noi ci saremo ancora”. È morto il 2 marzo 2021 di Covid a poco più di 60 anni.

***

Chissà cosa pensavo, quella sera, a Bovalino. In quel lembo di Calabria dove il mare fa l’amore con la Grecia. Ero triste, mentre cantavi dei nostri padri, e musicavi i miei versi. Perché me lo avevi promesso che avresti portato lontano le mie parole.Al confine, e pure oltre. Oltre il nostro paese, Taverna, che è bellissimo nelle notti d’inverno. Quando il camino rimesta nella brace per farsi aroma di fornaio. Quando i suoi cieli si sciolgono tra i tetti per modellarne spigoli e respiri. Quando il pittore da le spalle al domani per parlare con la luna. Quando ogni balcone è un’ipoteca d’inatteso.Stanotte, invece, è stata una notte ruvida e bugiarda. Un po’ ninfa, e un po’ bestemmia. Una notte arrampicata sulle fuliggini di un inverno che s’interroga ancora. Una notte affacciata su un giorno che è uno scherzo che non è più uno scherzo, e non fa ridere più nessuno. È stata una notte randagia, stanotte, fra i fiordi di una chiesa avvolta da una luce dolce di ricordi. Un po’ meringa e un po’ miele. Una notte strana, adagiata sul sagrato dei pensieri che a Santa Barbara, adesso, si fanno lacrime. È nel cuore antico del mio paese di montagna, e di orti che si avvitano per rifiorire sui loro ieri, che ho dormito stanotte. Dove ho ascoltato le cicale, e le preghiere di mia nonna. Le campane della messa vespertina, e i passi sconosciuti della mia storia, nella dispensa della malinconia. Ieri, però, brucia ancora, nei pendii di anime scorticate. Perché ieri sono tre anni sospesi. Tre anni senza. Senza è il destino di chi rimane di fronte a un muro e alle sue crepe. Il destino di chi ripiega e si rintana sul guado di un addio. L’addio ancora giovane da quel girotondo che con te, Gianfra’, avevamo abbracciato tutto intero. E tutto in una volta. Per farne musica e devozione. Davanti a una chiesa che resterà il chiostro di una fede offesa e di un incontro breve. Adesso, quella chiesa è diventata l’allunga di un racconto che non conoscevo neppure. Che il verso malato di una poesia impropria ha fatto alcova di musica e parola. Per raccontarmi che una notte, che non so neppure che notte è, si è venduta il confine. Adesso, in questa notte altera, toglietemi tutto. Ma non la spina del dolore. Perché senza non riuscirei a sentirmi vivo. E triste, come a Bovalino, quella sera.

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