In un frangente in cui il Mezzogiorno è finito in una polemica muscolare a tesi ossificate e contrapposte sull’ “autonomia differenziata”, forse sarebbe utile, per recuperare un dibattito non apocalittico né passatista sulle criticità della “questione meridionale” (come usava dirsi prima che il prof. Gianfranco Viesti a inizio XXI secolo “abolisse il Mezzogiorno” per Laterza editore), pensare il Sud dentro le dinamiche del contesto geopolitico internazionale.
E con l’ottimismo (di volontà e ragione) di risolvere, piuttosto che limitarsi a enunciarle, le sue immarcescibili tribolazioni. Non soltanto per compiacere i 20 milioni di meridionali, ma per rendere pregnante la presenza in Europa dell’Italia, che, se non mette a valore le potenzialità inespresse di questa parte del Paese, campa cavallo! Rimarrà sempre “un vaso di terracotta, costretto a viaggiare con molti vasi ferro”.
Al fine di focalizzare i punti salienti della “questione meridionale”, sarebbe “cosa buona e giusta” ripassare qualche buona lezione, laica e religiosa, della sterminata letteratura meridionalista.
Per quella religiosa, penso (per esempio) alla “Lettera collettiva dell’Episcopato dell’Italia meridionale” del 1948, che avviò i successivi (tanti e corposi) interventi della Chiesa centrati “sulla realtà più povera del Paese”.
Per quella laica, all’opera summa dello storico Antonio Carvello (Magisano 1939 – Catanzaro 2021), a cui, prima o poi, la capitale della Calabria farebbe bene a intitolare perlomeno una strada. “I partiti dell’Italia contemporanea – sosteneva Carvello – non possono ignorare che senza l’unità nazionale, senza il potenziale non solo economico ma anche umano di tutte le regioni messe assieme, nessuna esclusa!, l’integrazione del Paese all’Europa sarebbe monca”.
Il messaggio, in sintesi, del docente universitario (prima nell’Ateneo di Salerno cattedra di Storia moderna e dopo all’Università di Catanzaro cattedra di Storia economica, dove ha insegnato Storia dell’industria e Storia economica e demografia) sollecita a ragionare del Mezzogiorno in una prospettiva anzitutto culturale.
A scartare le polemiche che distolgono l’attenzione dai veri problemi. E a dare al confronto politico solide basi storiche, economiche e sociali, attraverso l’autorevolezza delle analisi che (oggi soprattutto) obbligano a guardare al Mezzogiorno nello scenario europeo e in un mondo multipolare che ha perso fiducia nella globalizzazione.
L’intento? Evitare di restare schiacciati in un presente frastornato da diatribe contingenti tra chi ritiene che, per dare risposte al Sud, qualcosa (comunque sia) occorra fare; e chi, mascherando l’impotenza a fare, paventa il caos. In definitiva, ad evitare che tutto resti com’è. O, peggio, che mentre tutto cambia in maniera sorprendente, tra cyborg e algoritmi collegati in rete, nel Sud sia sempre più notte.
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