COSENZA Se «il pentimento è la zattera che resta dopo il naufragio» il percorso di Mattia Pulicanò, “battezzato” nel 2008 da Francesco Patitucci, dimostra come la “soluzione di fortuna” può consentire di varcare il grande abisso. Mattia Pulicanò – che nella sua precedente vita, da affiliato nella cosca Lanzino-Ruà-Patitucci – si occupava della compravendita illegale di sostanze stupefacenti – ha scelto di cambiare rotta molti anni fa, quando arrestato e condannato, decideva di collaborare con gli inquirenti, approfondendo i contorni del contesto criminale cosentino.
Nel programma di protezione Pulicanò recupera una dimensione di “normalità”, trova un lavoro, apre un’attività e si affranca definitivamente dalla condizione di suddito della ‘ndrangheta.
Le parole di Emanuele Mancuso sulla protezione come «detenzione domiciliare» (LEGGI QUI) lo raggiungono nella località, non più protetta ma anonima, e Mattia Pulicanò ci contatta per dire la sua: «leggo ogni giorno il Corriere della Calabria, vi ringrazio per il lavoro che fate e, attraverso voi, vorrei impedire che passasse un messaggio sbagliato, soprattutto all’indirizzo dei tantissimi giovani che ancora vivono una vita maledetta. Non vorrei si pensasse che collaborare sia una cosa brutta, al contrario posso assicurare che consente di rinascere. Restituisce una condizione di libertà e tranquillità. E’ una seconda vita ed è di certo migliore di quella che si lascia».
Su Emanuele Mancuso, Mattia Pulicanò ci tiene a precisare: «capisco che a differenza mia, lui ha la famiglia contro e questo rende le cose più difficili; quello che mi lascia perplesso è quando dice che “dalla collaborazione non ha avuto nulla in cambio”. Sbaglia perché ha avuto la fortuna di togliere la figlia da un contesto criminale. Non so in quale regione sia, ma di certo è in un luogo in grado di offrire a sua figlia, più possibilità di quelle che avrebbe avuto a Vibo Valentia e soprattutto in quel contesto. Già questa è una vittoria grandissima». A conforto del giudizio sulla collaborazione, Pulicanò ripercorre il suo percorso «ho iniziato il programma di collaborazione nel 2014, nel 2016 mi hanno seguito i miei genitori e nello stesso anno, il Ministero mi ha concesso di aprire un’attività che mi ha consentito di vivere e di reinserirmi in un contesto sociale pulito. Nel 2018 – racconta ancora – ho presentato il mio primo Cud. Naturalmente tutto ciò che facevo, i miei contatti e le aziende con cui avevo rapporti erano sottoposti ad una attenta verifica da parte del Ministero. Fino a quando, un giorno, mi hanno comunicato che mi avrebbero tolto i benefici economici e il pagamento dell’abitazione. In quel momento ci rimasi male e rivolgendomi a mio padre dissi «ti rendi conto? Dopo pochi anni già mi fanno fuori». La risposta di mio padre la ricordo ancora oggi: “Non è una sconfitta, ma un grande giorno perché hai dimostrato di non avere più bisogno di loro, di poter camminare con le tue gambe“. In quel preciso momento ho capito il vero senso del programma di protezione».
Mattia Pulicanò tiene poi ad evidenziare la dinamica del rapporto tra chi collabora e lo Stato, «il programma è sicuramente un contratto: ricevi uno sconto di pena ed in cambio fai delle dichiarazioni e aiuti la giustizia. Nel frattempo ricevi un aiuto a reinserirti, non ti danno milioni di euro, ma ti pagano la casa, ti danno uno stipendio, consentendoti di ricominciare. Di rifarti una vita».
E’ una seconda possibilità «preziosa, ne sono testimone», dice al Corriere della Calabria. «Posso garantire che il sistema funziona – aggiunge – al mio fianco c’è stato un lavoro di tutela ed accompagnamento, un lavoro che mi ha permesso nel gennaio 2023 di poter abbandonare il programma e continuare la mia vita». A tal proposito, Mattia Pulicanò non ha dubbi: «sto attento, ho fatto una scelta e so di aver danneggiato alcune persone».
Il presente consente all’ex collaboratore di giustizia di pensare ad un futuro diverso. Ma il passato non si dimentica. «I miei anni più belli li ho passati da collaboratore perché comunque ho iniziato ad assaporare la vita», confessa Pulicanò che poi ricorda i peccati nella mala bruzia. «Ho iniziato giovanissimo con il traffico di stupefacenti. Sono stato affiliato poi alla cosca Lanzino-Ruà da Francesco Patitucci, ho gravitato con loro per un po’ di anni, ho fatto quasi quattro anni di detenzione e poi ad un mio arresto ho visto la distruzione negli occhi della mia famiglia. Ho detto basta, devo cambiare vita». A Cosenza, Pulicanò rivolge le ultime malinconiche parole della conversazione: «Vivo in un luogo stupendo, ma Cosenza per me è il posto più bello del mondo, per fortuna mantengo un po’ l’accento perché non voglio perdere il legame con le mie radici».(d.m.)
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