CATANZARO Sono numerosi i reati contestati ai 21 indagati finiti al centro dell’inchiesta della Dda di Catanzaro e che, all’alba di oggi, ha portato all’ordinanza del gip del Tribunale di Catanzaro di misure cautelari per 18 persone. in un blitz eseguito nelle province di Catanzaro, Vibo Valentia e Cosenza, dai Carabinieri del Comando Tutela Ambientale e Sicurezza Energetica e del Comando per la Tutela Forestale e dei Parchi. Tra le accuse più gravi, quelle legate all’inquinamento e alla frode nelle pubbliche forniture, e associazione a delinquere. Quattro le persone finite in carcere ovvero i titolari delle società e il loro referente principale; in 13 ai domiciliari e un obbligo presentazione alla pg. Sono 5 i pubblici amministratori indagati.
Gli inquirenti, nel corso delle indagini durate due anni tra il 2021 e il 2022, hanno ricostruito una serie di condotte illecite «legate al trattamento acque e dei rifiuti e – ha spiegato in conferenza stampa il procuratore di Catanzaro ff Vincenzo Capomolla – per questo è stato necessario l’intervento dei Carabinieri del nucleo ambientale e forestale». Indagini possibili «grazie alle competenze specifiche – ha spiegato – perché si è andati ben oltre il semplice malfunzionamento di depuratori e impianti». Così come è emerso dall’inchiesta e illustrato da Capomolla, al centro ci sarebbe una «società che gestiva i depuratori in tutte le province calabresi e si era accaparrata il servizio al massimo ribasso, con risparmi enormi in danno però all’ambiente, attraverso sversamenti illeciti e la mancata manutenzione e condotta fraudolenta nella gestione dell’appalto». «L’operazione – ha detto il procuratore – da il senso che la maladepurazione è soprattutto legata ad una gestione illegale».
Si tratta di un’attività partita dagli accertamenti di Arpacal, poi approfonditi dai Carabinieri. Sono in tutto 34 i depuratori interessati nelle cinque province per 40 Comuni, ma la società gestiva anche altri impianti. «In un caso – ha spiegato ancora Capomolla – c’è stato il ribasso del 54% rispetto all’importo della gara e questo ha costretto a risparmiare sui costi e quindi sul controllo e la manutenzione, con il conseguente sversamento, anche in mare e illecito, dei fanghi che invece di esse conferiti negli ambienti ad hoc, attraverso la falsificazione dei documenti venivano smaltiti illecitamente».
L’entità dell’inquinamento ambientale «emerge dai rilievi di Legambiente effettuati alla foce del fiume Beltrame che poi sfocia nel golfo Squillace, con valori dei prelievi di forte inquinamento, più del doppio del previsto» con «un danno ambientale permanente notevolissimo». L’indagine «ha riguardato anche il reato di frode nelle pubbliche forniture e ciò – ha spiegato ancora Capomolla – può avvenire per un difetto di vigilanza della pubblica amministrazione». «Ci sono avvisi di garanzia ad amministratori pubblici, comunque non colpiti da misura. In altre occasioni, però, è stato accertato il controllo ferreo da parte degli amministratori comunali». L’indagine è della Dda di Catanzaro competente per i reati ambientali legati alla frodi nelle pubbliche forniture. «Qui c’è un’organizzazione di sistema per trattare illecitamente rifiuti anche liquidi e c’è poi una tentata estorsione a un dipendente che accampava diritti sindacali nel Cirotano», ha spiegato ancora Capomolla. E tra i casi simbolo citati dal procuratore c’è l’impianto di Caraffa di Catanzaro, «esempio di inquinamento ambientale più irregolarità gestionali». (a. c.)
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