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Scambio di “favori” tra cosche, l’appalto dei rifiuti: perché riaprire il caso dell’omicidio Tramonte-Cristiano

L’esposto delle due famiglie insieme a quello delle associazioni: nuove dichiarazioni dei pentiti e la “guerra” di ‘ndrangheta a Lamezia

Pubblicato il: 08/03/2024 – 18:20
di Giorgio Curcio
Scambio di “favori” tra cosche, l’appalto dei rifiuti: perché riaprire il caso dell’omicidio Tramonte-Cristiano

LAMEZIA TERME Disporre la riapertura delle indagini «alla luce dei nuovi elementi evidenziati, al fine di individuare mandanti ed esecutori materiali del duplice omicidio dei netturbini Cristiano Pasquale e Tramonte Francesco». Sta tutto qui il senso dell’istanza inviata alla Distrettuale antimafia di Catanzaro, firmata da Pasquale Cristiano, fratello della vittima, Stefania Tramonte, figlia dell’altra vittima, e poi dall’“Associazione Antiracket Lamezia”, Fondazione Trame, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato Santino Piccoli. Come riportato oggi dal “Lametino.it”, in un articolo firmato da Antonio Cannone, infatti, la famiglia punta a riaprire il fascicolo sul terribile fatto di sangue avvenuto all’alba del 24 maggio del 1991, nel quartiere Sambiase, con l’omicidio dei due netturbini.

La storia processuale

«Le Associazioni proponenti, infatti, si sono fatte portatrici di un’esigenza sentita, ancora oggi, da gran parte della comunità lametina – si legge nell’istanza – che ha deciso di sostenere, seppur in modo simbolico, la riapertura delle indagini, attraverso la sottoscrizione della petizione». Nell’istanza viene citato il «sospettato Isabella Agostino, persona rispondente alle caratteristiche fisionomiche descritte dal Bonaddio. Si provvedeva dunque a due riconoscimenti personali del presunto omicida e poi ancora a due incidenti probatori finalizzati ad accertare la presenza di polvere da sparo sul sospettato. Ed infatti la polizia scientifica rilevava sul tampone eseguito sulle mani di Isabella “la presenza di particelle che rientrano nella classe dei residui dello sparo” (come da relazione della polizia scientifica)».
«Isabella veniva quindi rinviato a giudizio dinanzi alla Corte di Assise di Catanzaro per l’omicidio di Francesco Tramonte e Pasquale Cristiano e per il tentato omicidio di Eugenio Bonaddio. Nel corso del processo – si legge ancora – venivano sentiti diversi testimoni, tra i quali il collaboratore di giustizia Antonio Fiorentino, affiliato alla Sacra Corana Unita, detenuto nella casa circondariale di Lamezia Terme nel periodo della custodia cautelare dell’Isabella, il quale riferiva che l’imputato gli aveva confidato in carcere di essere l’esecutore dell’agguato». L’imputato, però, verrà assolto «per non aver commesso il fatto».

Il clima lametino del ‘91

Tra il 1990 e il 1991 la città fu scossa da ben dodici omicidi. Il 12 e il 13 maggio 1991 si tenevano le elezioni amministrative. La Democrazia Cristiana otteneva il 41% dei voti, con diciotto consiglieri comunali eletti, il Partito Socialista il 33%, con 14 consiglieri. Nelle liste dei due partiti venivano candidati ed eletti personaggi del tutto estranei alla vita politica cittadina. Il risultato di tali elezioni fu l’arrivo della Commissione d’accesso ed il successivo scioglimento del Consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose». Alcuni componenti della giunta in carica prima di quella diretta da Anastasio «erano stati rinviati a giudizio per avere “distratto pubblico denaro dalle casse comunali” a favore dei titolari di un’impresa cui era stato affidato l’appalto per la raccolta dei rifiuti solidi urbani “pur avendo l’ente anche come personale addetto la capacità organizzativa per gestire direttamente il servizio”».

Nuovi pentiti e nuovi elementi

Dagli errori del primo processo e dalla ricostruzione storica contenuta nella Sentenza di Assoluzione «possono essere raccolti elementi utili – è scritto – a fornire un nuovo impulso alle indagini. La Sentenza, pur non individuando mandanti ed esecutore, inquadra perfettamente il contesto nel quale matura l’agguato: l’appalto della raccolta dei rifiuti solidi urbani. Occorre dunque ripartire proprio da tutto ciò che ha riguardato l’appalto dei rifiuti solidi urbani in questione». E viene citato un ex consigliere comunale, secondo il quale «Francesco Iannazzo avrebbe avuto una reazione sproporzionata a seguito dell’estromissione di Giovannino Iannazzo dall’appalto dei rifiuti». Seguono minacce reciproche, poi l’omicidio di Iannazzo il 21 maggio 1992.

L’accordo tra lametini e vibonesi

Secondo un altro pentito, Andrea Mantella, Iannazzo «sarebbe stato ucciso in seguito ad un accordo tra Luigi Mancuso, Francesco Giampà, Giovanni Torcasio e Rocco Anello» mentre secondo Gennaro Pulice, altro super pentito, l’omicidio di Francesco Iannazzo «sarebbe stato vendicato il 29 settembre 2000 con l’omicidio di Giovanni Torcasio da parte di Pietro Iannazzo, Vincenzino Iannazzo e Antonio Davoli». Senza esprimere alcun giudizio circa l’attendibilità «dei suddetti collaboratori di giustizia» si legge nell’istanza «le dichiarazione degli stessi, anche se in alcuni passaggi poco chiare, necessiterebbero di doverosi approfondimenti». Tutti i collaboratori ricondurrebbero le responsabilità dell’agguato «alla cosca Iannazzo, ricostruzione riconosciuta come veritiera anche nei racconti e nei ricordi conservati nella cosiddetta vox populi. Rispetto alle prime indagini – si legge ancora – codesta Procura oggi dispone di nuovi elementi investigativi rappresentati proprio dai numerosi collaboratori di giustizia appartenenti alle cosche locali e non solo». «Collaboratori di giustizia nell’ambito del processo Rinascita Scott, in primis Andrea Mantella, hanno fornito dettagli e informazioni utili circa i legami e gli scambi di favori tra le cosche lametine e quelle vibonesi pertanto potrebbero fornire elementi utili in tal senso».

Melidona

Melidona: «Un duplice omicidio del tutto anomalo»

Importante, nella forma e nella sostanza, il commento del pm Santo Melidona che ha, di fatto, nel corso dell’ultima commemorazione aveva smorzato i facili entusiasmi, richiamando tutti alla dura realtà. «Ho sentito tante parole belle, quelle dei nostri giovani e delle istituzioni. Riaprire le indagini vuol dire disporre di materiale utile. E, se non si arriva ad avere un contributo serio da qualche collaboratore di giustizia, non sarà possibile riaprire le indagini salvo per spettacolarizzare una iniziativa che comunque non porterebbe da nessuna parte». «Si tratta comunque di un delitto con una considerazione estrema. Gratteri però lo ha ricordato: se non abbiamo un contributo che può uscire unicamente da un collaboratore di giustizia, dopo 32 anni è impensabile svolgere qualunque attività investigativa tradizionale». (g.curcio@corrierecal.it)

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