REGGIO CALABRIA Uccisa brutalmente a soli 37 anni mentre era incinta di sette mesi. Ispirò il regista Roberto Rossellini per il personaggio di Pina, ruolo interpretato da Anna Magnani in “Roma città aperta”. Una storia di amore e coraggio, quella di Teresa Gullace, diventata una delle icone della Resistenza a Roma, e oggi potrebbe essere il simbolo del gemellaggio tra la Capitale e Cittanova, il paesino in provincia di Reggio Calabria, sua terra d’origine.
Nata l’8 settembre 1907 in Calabria, Teresa Talotta, dopo il matrimonio con Girolamo Gullace, manovale in un cantiere edile, fu costretta a stabilirsi a Roma a causa della carenza di opportunità lavorative a Cittanova. Nella Capitale i due si erano stabiliti in un quartiere poverissimo che ospitava perlopiù baracche fatiscenti, nella zona tra la stazione San Pietro e Via delle Fornaci: conosciuta come “la Valle dell’inferno”.
Cinque figli, quattro maschi e una femmina, e il sesto in arrivo. Teresa era incinta di sette mesi quando il marito venne catturato in uno dei tanti rastrellamenti tra la popolazione, costretta a privazioni, violenze e sofferenze, effettuati in città nei primi mesi del 1944 dalle truppe tedesche di occupazione, appoggiate dai fascisti, a caccia di partigiani, disertori e manodopera utile per lavori.
La mattina del 26 febbraio 1944 Girolamo Gullace viene catturato e rinchiuso nella caserma dell’81° Fanteria in Viale Giulio Cesare, dove Teresa si recherà immediatamente e dove tornerà per i successivi giorni tentando di parlare con il marito e per portargli qualche pezzo di pane.
E’ il 3 marzo 1944 quando la donna viene uccisa con il bambino che porta in grembo. Non una mattina come le altre, davanti alla caserma infatti c’è una folla di persone, familiari degli uomini, centinaia, che nei due giorni precedenti erano stati catturati. I manifestanti urlano e inveiscono contro i tedeschi, i prigionieri iniziano a ribellarsi. La situazione si fa incandescente. Lungo il marciapiede un cordone di soldati, con i fucili spianati, impedisce alla folla di avanzare. Ma Teresa, arrivata lì davanti, con il figlio Umberto per mano, tenta di spingersi sempre più avanti per parlare con il marito che stava tentando di dirle qualcosa. Sono momenti concitati in cui la folla inizia ad urlare il nome di “Teresa” che lasciando il bambino indietro riesce a raggiungere l’entrata e a lanciare qualcosa da mangiare al marito. Verrà uccisa da un soldato tedesco a colpi d’arma da fuoco.
Teresa Gullace diventa, così, il simbolo della Resistenza romana, una lotta che si concluderà il 4 giugno del 1944, quando Roma viene liberata dai nazifascisti dopo un’occupazione durata nove mesi.
«Madre di cinque figli ed alle soglie di una nuova maternità, non esitava ad accorrere presso il marito imprigionato dai nazisti, nel nobile intento di portargli conforto e speranza. Mentre invocava con coraggiosa fermezza la liberazione del coniuge, veniva barbaramente uccisa da un soldato tedesco. Roma, 3 marzo 1944». Con questa motivazione, con Decreto del 31 marzo 1977, il Presidente della Repubblica le conferisce la medaglia d’oro al valor civile. A Teresa Gullace vengono intitolate scuole e strade. Nel 1995, Poste Italiane sceglie la sua immagine a rappresentare, nel francobollo commemorativo, «le Donne nella seconda guerra mondiale».
La straordinaria figura di Teresa Gullace viene presa come fonte d’ispirazione dal regista Roberto Rossellini, nel capolavoro del neorealismo “Roma città aperta”, per il personaggio di Pina, ruolo interpretato da Anna Magnani.
E don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera, scegliendo Roma come luogo dove si celebrerà la prossima Giornata per le vittime innocenti delle mafie il 21 marzo – dal titolo “Roma città Libera” – ha proposto un gemellaggio tra la Capitale e Cittanova, unite dalla figura di Teresa, simbolo di libertà e lotta alle ingiustizie. Lo slogan è “Roma città libera” – ha spiegato don Ciotti – perché «le mafie ci sono ancora. La mafia non gode solo di un sostegno attivo ma anche di un sostegno passivo. Troppa gente rafforza le mafie non schierandosi. La mafia è diventata “una delle tante cose” del nostro Paese e non ce lo possiamo permettere. La Città Eterna non può rimanere con le sue zone d’ombra fatte di intrallazzi e di violenze. In questo territorio ci sono tutte le mafie, e allora serve uno scatto in più della società civile, deve essere più consapevole e responsabile. L’ultima mafia è sempre la penultima perché tende a rigenerarsi». (m.ripolo@corrierecal.it)
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