DINAMI La strada è impervia, fangosa e dissestata. Il terreno, in mezzo al nulla, è difficile da raggiungere. Era il 21 marzo del 1994 quando gli inquirenti, nelle campagne di Monsoreto, a pochi chilometri dal comune vibonese di Dinami, ritrovavano il corpo interrato di Pino Russo, ucciso dalla ‘ndrangheta perché amava una ragazza che, secondo loro, non doveva amare. A 30 anni dall’omicidio del figlio, le lacrime di mamma Teresa scendono proprio nel luogo in cui Pino è stato ritrovato solo su indicazioni di un pentito, in località Giardino, nelle campagne di Monsoreto. «Dicono sia stato colpevole d’amore, ma come può amare essere una colpa?» obietta padre Angiolo Solano durante la benedizione della targa inaugurata oggi, recitante la scritta: «Omnia vincit amor». L’amore vince su ogni cosa. «A Pino non è stata negata solo una storia d’amore, gli è stata negata la vita. E quell’amore per cui è stato ucciso, l’ha donato a noi che ci ritroviamo qui, 30 anni dopo, per ricordarlo» afferma padre Solano.
A uccidere Pino, il 15 gennaio, anche un ragazzino di 17 anni, per il quale l’omicidio rappresentava il “battesimo” di ‘ndrangheta. «Doveva scaricare il caricatore della pistola su mio figlio» dice mamma Teresa, ricordando i dettagli dell’omicidio raccontati da un pentito. «Ma la pistola si è inceppata. Io penso spesso al sussulto che avrà avuto mio figlio in quel momento. Magari ha chiamato la mamma, che non l’ha saputo proteggere» ricorda in lacrime Teresa. «Hanno dovuto solo sparare, avevano già preparato la fossa. Cos’ha fatto di male mio figlio, un ragazzo di soli 21 anni, per subire un accanimento così?». La risposta la diede uno dei ragazzi condannati, che «in una lettera di perdono scrisse: “Pino è morto perché era libero”. Ma io il perdono non lo posso dare, quello lo può dare solo Dio». Accanto a mamma Teresa, anche Matteo, fratello di Pino, e il marito Orlando.
L’iniziativa è stata voluta dal Comune di Dinami e dal sindaco Antonino Di Bella con il supporto di Libera. «Pino ci lascia un grande patrimonio: l’amore. Ha amato fino alla fine e continua a farlo oggi tramite quest’eredità importante che ci ha lasciato» afferma la referente provinciale Maria Joel Conocchiella. «Oggi la comunità si stringe attorno a Teresa. Il messaggio che vogliamo lanciare oggi è di difendere strenuamente le nostre libertà e i nostri diritti. Facciamolo, soprattutto, per chi non ha più voce, ma può portare avanti le sue battaglie tramite la nostra». Chi ha trasformato il dolore in impegno è soprattutto Matteo Luzza, fratello di Pino. «Faccio centinaia di incontri, ma è sempre come se fosse la prima volta» racconta Matteo. «Dobbiamo farci carico di queste storie, continuare a parlarne, riappropriarci dei nostri territori. Se non lo facciamo noi, il rischio è che lo facciano loro». A conclusione dell’incontro il referente regionale Giuseppe Borrello: «Non dobbiamo “normalizzare” le mafie, anche se uccidono meno. Gli incontri come quello di oggi sono occasioni per ribadire il nostro impegno e per prenderci le nostre responsabilità». (Ma.Ru.)
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