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il processo

«Mettiti a posto altrimenti salti in aria». La minaccia ricevuta da un imprenditore cosentino

L’episodio viene documentato dalla Squadra Mobile di Cosenza nelle indagini poi confluite nell’inchiesta “Reset”

Pubblicato il: 11/03/2024 – 7:00
di Fabio Benincasa
«Mettiti a posto altrimenti salti in aria». La minaccia ricevuta da un imprenditore cosentino

COSENZA Una serie di incontri vedono protagonisti, alcuni indagati nell’inchiesta denominata “Reset” contro la presunta Confederazione di ‘ndrangheta cosentina. Il processo con rito ordinario, celebrato dinanzi al Tribunale di Cosenza (Presidente Carmen Ciarcia, a latere Luigi Branda e Urania Granata) si tiene nell’aula bunker di Lamezia Terme. Fabio Ferraro, ispettore della Polizia di Stato, attualmente in servizio alla sezione operativa per la sicurezza cibernetica è il testimone chiamato a ricostruire l’attività di indagine svolta quando era in forze nella Seconda Sezione della Squadra Mobile di Cosenza. Le indagini partono «sulla scorta di alcune notizie che avevamo appreso circa la possibilità che un imprenditore locale, nell’hinterland cosentino, potesse essere sottoposto ad estorsione da parte di alcuni esponenti di un gruppo criminale». Negli ultimi giorni del Luglio del 2018 «fu proprio l’imprenditore di cui avevamo appreso notizia che ci contatta per informarci di aver ricevuto una telefonata dal chiaro tenore estorsivo».

«Mettiti a posto altrimenti salti in aria»

In Questura, giunge una telefonata dell’imprenditore, presunta vittima di estorsione, che poi si reca negli uffici per sporgere denuncia. Il telefono viene messo sotto intercettazione e dall’analisi dei tabulati telefonici «riscontriamo diverse telefonate e nello specifico troviamo alcuni tentativi di chiamata e chiamate verso dei numeri di telefono che erano riferibili ad imprenditori dell’hinterland cosentino». Fin qui nulla di strano, ma poi il tono emerso in un’altra telefonata intercettata attira l’attenzione degli investigatori. Un imprenditore di un’azienda di rivendita di materiale da costruzione riceve «una telefonata a chiaro sfondo estorsivo, dove l’utilizzatore delle utenze lo invita a mettersi a posto altrimenti sarebbe saltato in aria». Questa utenza telefonica è di particolare importanza per le indagini, spiega il teste, perché risulta «utilizzata per tutto il periodo investigato da Enzo Piattello, pregiudicato molto vicino a Michele Di Puppo, si può dire direttamente uno dei bracci destri di Michele Di Puppo».

Gli incontri e le presunte estorsioni a Rende

Sulla scorta di quanto rilevato, chi indaga documenta anche alcuni incontri tra Michele Di Puppo, Enzo Piattello, un esponente del clan degli Zingari ovvero Antonio Abruzzese Antonio (classe ’70) alias “Strusciatappine” ed Ernesto Campanile». Il racconto del teste prosegue. «Riusciamo ad individuare un luogo dove si incontravano i quattro. Questo luogo fa riferimento a un giardino, una corte condominiale liberamente accessibile, che si trova completamente circondata da palazzi ed è ubicata nella zona di Quattromiglia di Rende, quasi nei pressi della Cattedrale. Nei summit, presumono gli investigatori, si discute delle estorsioni da portare a termine nei confronti di imprenditori. In una occasione, «fanno riferimento a un capannone, e Di Puppo dà conferma (“Sì, sì, sì, quello, quello”) e c’è una sorta di indicazione da parte Di Puppo «sulle modalità con le quali l’estorsione doveva essere commessa» e lo stesso «incalza e dice a Piattello “No, tu prima ci devi andare, lo devi andare a trovare e poi gli fai la telefonata”». Qualche giorno dopo quella telefonata intercettata, «apprendiamo del ritrovamento delle bottiglie incendiarie». Sul posto intervengono i Carabinieri di Rende e girano la segnalazione in Questura. Quindi alla luce del ritrovamento di queste due bottiglie nei pressi di una officina e di una concessionaria che vende mezzi di trasporto», nella zona industriale di Rende. Saranno sempre gli investigatori a raccogliere una ulteriore prova ritenuta utile dall’accusa e riferita ad una telefonata tra Michele Di Puppo e Enzo Piattello, con il primo che «domanda se lì quella cosa l’avevano sbrigata e Piattello gli dà conferma». Per compiere le estorsioni, i presunti responsabili si sarebbero mossi a bordo di un Fiat Doblò che aveva una particolarità «ovvero il gruppo ottico posteriore lato sinistro che non funzionava, lato guida per intenderci e aveva i vetri posteriori oscurati entrambi e aveva un’altra particolarità, una maniglia supplementare apposta al portellone posteriore e c’è una striscia nera che si vede sul portellone posteriore bianco che lo contraddistingue diciamo rispetto agli altri».

Il controesame

Il teste si sottopone al controesame degli avvocati di difesa. Il primo a prendere la parola è l’avvocato Cristian Cristiano. Cosa verifica personalmente? «Verifico che Campanile era alla guida del Doblò di cui ho detto e che il gruppo ottico posteriore sinistro non era funzionante». Verifica altro? «No». Quindi verifica le maniglie laterali se fossero orizzontali o verticali? «Le maniglie non me le ricordo com’erano, ma è stato documentato anche dal mio collega con un’apposita annotazione, con un’altra foto». In questi video, si vede la targa? «No». Si vede la marca? «La marca no». Si vede una doppia annotazione per caso sulla targa? Sopra la targa? Io mi riferisco a casa costruttrice e modello. «Diciamo che si intuisce che c’è la doppia descrizione. Si vedono. come per la maniglia, la stessa cosa per la maniglia». Abbiamo la possibilità di sapere a che cosa corrispondono queste due righe? «Dal video no». Mi chiarisce perché è un Fiat Doblò? Quale caratteristica ha? «Allora il Fiat Doblò ha il gruppo ottico più alto rispetto al Fiat Fiorino. Ha il muso meno pronunciato, quello anteriore. Un’altra caratteristica è la forma dei vetri posteriori rispetto a un Peugeot o un altro tipo di veicolo similare». La parola passa all’avvocata Mariarosa Bugliari, per la posizione di Antonio Abruzzese. Qual è l’interesse investigativo nel monitorare questi incontri? «Li monitoriamo e li documentiamo perché c’è un dato che emerge, che è l’interesse da parte di esponenti di due clan storicamente diversi, gli Italiani e gli Zingari, che sulla scorta poi della cosiddetta Confederazione si tornano a vedere; quindi presumiamo che sia un incontro dal punto di vista investigativo per noi importante. Li documentiamo intanto per capire anche e dare riscontro alle intercettazioni telefoniche e con l’intenzione poi di poterne intercettare i colloqui. Proviamo a intercettare i colloqui, ma non vi riusciamo».
(f.benincasa@corrierecal.it)

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