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Omicidio Maria Chindamo, domani inizia il processo. Il fratello: «Non ho mai smesso di credere nello Stato»

Imputato di fronte la Corte d’Assise è Salvatore Ascone, ritenuto dall’accusa concorrente nell’uccisione dell’imprenditrice di Laureana

Pubblicato il: 13/03/2024 – 6:48
Omicidio Maria Chindamo, domani inizia il processo. Il fratello: «Non ho mai smesso di credere nello Stato»

CATANZARO La scomparsa, l’omicidio, il depistaggio e l’eterna attesa di giustizia. Ma domani, dopo 8 lunghi anni, avrà finalmente inizio il processo per l’omicidio di Maria Chindamo. Di fronte ai giudici della Corte d’Assise di Catanzaro si dovrà presentare Salvatore Ascone, detto “u pinnularu”, accusato di aver concorso nell’omicidio dell’imprenditrice di Laureana di Borrello. Insieme al figlio Rocco avrebbe, secondo gli inquirenti, provveduto a «manomettere il sistema di videosorveglianza installato presso la sua proprietà, limitrofa a quella della Chindamo». Un intervento che avrebbe agevolato gli autori dell’omicidio, i quali «operavano sapendo di poter agire indisturbati e con la sicurezza di non essere ripresi e, dunque, successivamente individuati». Dettagli emersi nel corso dell’operazione Maestrale Carthago, il cui processo ordinario è iniziato lunedì scorso al Tribunale di Vibo Valentia ma subito con una battuta d’arresto, ovvero l’astensione di due dei tre componenti del collegio giudicante. Inizierà domani, invece, il processo a Salvatore Ascone, rinviato a giudizio lo scorso 22 gennaio.

Il doloroso calvario della famiglia Chindamo

Un doloroso calvario iniziato il 6 maggio 2016, quando Maria Chindamo, imprenditrice di Laureana di Borrello, scompare di fronte i suoi terreni a Limbadi. Il primo ad arrivare sul posto è un operaio, che a sua volta avverte il fratello Vincenzo. La macchina ancora accesa, ciocche di capelli e sangue: la scena che Vincenzo si trova davanti è da brividi e fa pensare al peggio. Ancora più macabri i dettagli che emergeranno dalle inchieste successive, in particolare dalle dichiarazioni di alcuni pentiti: Maria Chindamo sarebbe stata uccisa e data in pasto ai maiali. Dietro il terribile omicidio una commistione tra gli interessi della ‘ndrangheta ai terreni dell’imprenditrice e motivi famigliari legati al suicidio, esattamente un anno primo, del marito Ferdinando Punturiero. La famiglia del marito avrebbe ritenuto responsabile del suicidio proprio Maria e la sua relazione, a divorzio già avvenuto, con un’altra persona. Ma, soprattutto, alla base dell’omicidio ci sarebbero le mire espansionistiche della cosca Mancuso sui terreni di proprietà dell’azienda agricola di Maria in località Montalto, dove il controllo criminale sarebbe stato «affidato ad Ascone» da parte dei Mancuso. Una verità che si sarebbe potuta avere subito se quelle telecamere posizionate proprio di fronte il luogo in cui Maria Chindamo è stata aggredita avessero funzionato. Ma che si proverà a ricostruire con il processo che vede proprio indiziato chi è accusato di averle sabotate.

«Non ho mai smesso di credere nello Stato»

«Per otto anni abbiamo camminato sulle strade della speranza anche quando tutto sembrava perso». Vincenzo Chindamo, fratello di Maria, non ha mai rinunciato a inseguire verità e giustizia, abbracciando a pieno il percorso di testimonianza in memoria della sorella. Un impegno che si unisce a quello dei figli di Maria, Vincenzino, Federica e Letizia. E a quello di nonna Pina, la mamma di Maria scomparsa nel 2022 senza poter scoprire la verità sulla figlia. Adesso un nuovo percorso, con la speranza di ottenere giustizia, che inizierà domani con il processo a Salvatore Ascone. Nel ringraziare gli avvocati e le associazioni Goel, Penelope e Libera per la vicinanza, Vincenzo Chindamo affida a Facebook le sue parole prima del processo: «Un cammino sempre con meno solitudine e sempre più in compagnia di un fronte di speranza e rinascita, fatto da tante donne e uomini». Vincenzo ha ringraziato anche abitanti e amministrazione di Limbadi, che lo scorso 8 marzo ha annunciato l’intitolazione di una via a Maria. «È significativo passare a comprare il pane ed essere riconosciuto ed accolto con il sorriso». Domani finalmente la prima udienza del processo. «Mi aspetto l’inizio di un percorso con una velocità diversa, in cui lo Stato si è reso più manifesto nel partecipare a questo cammino difficile. In otto anni ci sono stati silenzi operosi e si è lavorato molto, come dimostra il processo. Non ho mai smesso di credere, lungo questo interminabile periodo, nello Stato». (Ma.Ru.)

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