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Pedopornografia online, arresti e perquisizioni della Polizia

Fermato un soggetto che, per anni, ha commesso abusi sessuali ai danni di due bambine in età preadolescenziale

Pubblicato il: 13/03/2024 – 7:11
Pedopornografia online, arresti e perquisizioni della Polizia

MILANO Nell’ambito di una complessa operazione finalizzata al contrasto della pedopornografia online, la Polizia di Stato ha eseguito 21 perquisizioni nelle province lombarde di Como, Lodi, Monza Brianza, Milano, Pavia e Varese, consentendo l’arresto di 4 persone in flagranza di reato per detenzione di ingente quantitativo di materiale pedopornografico e di un soggetto che, per anni, ha commesso abusi sessuali ai danni di due bambine in età preadolescenziale a lui legate da vincolo di parentela e di una amichetta. Le minori erano spesso affidate all’uomo, che godeva della fiducia dei loro genitori. L’operazione ha permesso di documentare che le cinque persone arrestate hanno prodotto materiale pedopornografico inducendo giovanissimi, anche di sette/otto anni, a compiere atti sessuali in streaming ovvero a riprendersi in atti di autoerotismo.
Le perquisizioni informatiche dei dispositivi trovati in possesso degli indagati hanno disvelato particolari inquietanti in merito al coinvolgimento degli stessi nella condivisione online di video raffiguranti abusi sessuali in danno di bambini in tenera età, anche neonati. L’indagine, svolta dal Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica di Milano e diretta dalla locale Procura della Repubblica, sono scaturite su impulso del Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia Online (CNCPO) del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni, a seguito di una segnalazione pervenuta in ambito di cooperazione internazionale di polizia relativa a utenti italiani coinvolti nella detenzione e diffusione di materiale pedopornografico su un noto social network.
La Polizia Postale di Milano ha analizzato oltre 117.000 connessioni, riuscendo a identificare 26 persone, di cui 5 già gravate da pregiudizi specifici, le quali, per restare anonime, avevano creato i profili social utilizzati per compiere le condotte illecite servendosi di caselle di posta elettronica aperte con dati fittizi e accedendo alla rete attraverso Wi-Fi “aperte” o connessioni intestate a terzi.

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