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l’indagine

I «rifiuti nocivi» disseminati tra il Parco delle Serre e il Mesima: l’inquinamento ambientale (e le omissioni) nel Vibonese

L’inchiesta della Procura di Vibo ha messo nel mirino l’azienda di Vazzano dei fratelli Guarascio. Le denunce dei vicini ma anche l’inadempienza di alcuni funzionari Arpacal

Pubblicato il: 14/03/2024 – 6:58
di Giorgio Curcio
I «rifiuti nocivi» disseminati tra il Parco delle Serre e il Mesima: l’inquinamento ambientale (e le omissioni) nel Vibonese

VIBO VALENTIA «Il materiale in uscita non era classificabile come “Ammendante Compostato Misto” utilizzabile come fertilizzante in agricoltura» e soprattutto «non era solo inidoneo, ma addirittura nocivo». È l’esito di alcune analisi di laboratorio effettuati su una serie di campioni, prelevati dal materiale ceduto dalla “Eco Call S.p.A.” a terzi per concimare campi coltivati. «È ipotizzabile, per questo, il delitto di inquinamento ambientale». Lo scrive nero su bianco il gip del Tribunale di Vibo Valentia, Barbara Borelli, nelle carte dell’inchiesta che vede 11 indagati tra cui Eugenio Guarascio, Ortenzia Guarascio e Francesco Currado per i quali è stata applicata la misura dell’obbligo di dimora nel comune di residenza, oltre al sequestro della “Eco Call Spa”.

L’indagine del Nipaaf

Un quadro, dunque, allarmante quello delineato dalla Procura vibonese grazie agli accertamenti svolti sul campo dal Nipaaf di Vibo Valentia nella sede dell’azienda a Vazzano, anche attraverso il monitoraggio video dei piazzali esterni dell’impianto. Dalle immagini, ad esempio, è emerso che dall’8 aprile all’8 maggio 2021 «la Eco Call aveva continuato ad operare in regime di inosservanza alle prescrizioni imposte dall’A.I.A. (Autorizzazione Integrata Ambientale), nonché di quelle successive emanate dal competente organo tecnico di controllo dell’Arpacal». E poi una continua movimentazione di materiale semilavorato, «posto in maturazione sui piazzali, finalizzato alla produzione dell’ammendante compostato misto» si legge nell’ordinanza. Il prodotto semilavorato era trattato, sia all’interno del capannone di vagliatura che all’esterno, con l’utilizzo di macchine vagliatrici semoventi e «gli scarti derivanti da tale attività venivano depositati sia in cumuli posti sul piazzale esterno, sia all’interno del capannone, in attesa di essere caricati su autoarticolati per il successivo conferimento in discariche autorizzate». Ma, come sarebbe emerso già dalla prima settimana di monitoraggio, in realtà il “prodotto finito”, lavorato nell’arco dell’intera giornata e anche nelle ore notturne, «era stato sempre depositato nello stesso abbanco» dal quale nella stessa giornata o il giorno successivo «veniva prelevato fresco di vagliatura, caricato su camion e destinato ai comuni conferitori», senza però che risultasse visibile un preventivo prelievo di campioni, «finalizzato ad attestare il rispetto dei parametri normativi». E gli episodi si moltiplicano nei giorni successivi e per tutta l’estate del 2021.

vazzano vibo eco call guarascio

I controlli dell’Arpacal

A certificare il quadro “problematico” c’è poi il sopralluogo dei funzionari dell’Arpacal insieme ad un ingegnere in rappresentanza della Regione Calabria. È il 6 luglio 2021 e, all’esito dei controlli, vengono evidenziate una serie di criticità: la presenza di fessurazioni su larghi tratti di piazzale; cumuli di materiali in maturazione lenta ed il compost nelle aree di stoccaggio sono ancora scoperti e privi di teli o coperture di protezione dagli agenti atmosferici e – soprattutto – i funzionari notano l’assenza di alcuna soluzione di continuità tra i diversi cumuli, «favorendone la commistione, non consentendo una precisa separazione ed identificazione e rendendo difficoltoso il necessario rivoltamento». E poi fuoriuscite di percolato nella parte posteriore del capannone, «sia dai fori di ispezione della temperatura sia dalle pareti e dal portone laterale». Percolato che confluiva «nei pozzetti di raccolta delle acque provenienti dai pluviali del capannone». In conclusione, secondo i funzionari Arpacal non c’era «la completa ottemperanza alle prescrizioni precedentemente impartite» e che, pertanto non potevano «essere ancora ripristinati i conferimenti secondo le quantità in AIA». Controlli che infastidiscono, e non poco, Ortenzia Guarascio, intercettata mentre discute al telefono con il fratello, Eugenio. «Allora, qui non si riesce a chiudere (…) sono proprio di traverso, ci abbiamo l’Arpacal che mi è andata a guardare tutte le fessure della pavimentazione cioè, tu là al piazzale ce l’hai presente? (…) non vogliono che tritogliamo… che facciamo la vagliatura fuori (…) allora gli ho detto “guardate, allora dobbiamo chiudere”, gli ho detto “io non posso fare…”».

Plastica, vetro e alluminio nel parco

Solo due giorni prima, è il 4 luglio 2021, la Stazione Carabinieri Forestale di Serra San Bruno riceve una comunicazione dal dirigente del “Parco Regionale delle Serre”. La segnalazione riguarda lo sversamento di “sansa esausta” in località Fillò del comune di Serra San Bruno, area ricadente all’interno del Parco Regionale delle Serre. Il giorno dopo il dirigente spiega ai militari di aver ricevuto «diverse lamentele di un forte e cattivo odore da località Fillò» e aveva personalmente constatato «la presenza di diversi cumuli di materiale, che riteneva essere “sansa esausta”, la quale in parte era stata sparsa sul terreno dal quale proveniva un forte odore acre». Qualche giorno dopo allora i militari della Stazione Forestale effettuano un sopralluogo nell’area interessata dallo sversamento mentre il proprietario, attraverso un documento, chiarisce la provenienza del materiale. Dall’analisi della documentazione «emergeva che il materiale organico proveniva dalla ditta “Eco Call Spa” ed era classificato come “ammendante compostato misto” in circa 264 tonnellate». La superficie interessata dal deposito – annotano i militari – era di circa 40mila mq, adibita a foraggio per animali e «risultava vincolata paesaggisticamente ed idrogeologicamente. Il materiale era stato depositato in quindici cumuli e, una piccola quantità, era stata già stesa sul terreno; a poca distanza dal sito vi era l’acquedotto Fillò». Ma non è tutto: attraverso una verifica più accurata, i militari osservano la presenza di rifiuti composti da plastica, vetro, alluminio e tessuti di grosse dimensioni e così procedono al sequestro dell’area.  

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Le omissioni dei funzionari Arpacal

Anche in questo caso gli inquirenti riescono ad intercettare una conversazione significativa, legata proprio al sequestro dell’area di Serra San Bruno. «Hanno trovato un personaggio di Serra se ho capito bene, che si è preso addirittura duecento tonnellate di questo Compost, che io non capisco che cosa (…) perché per poterlo poi distribuire sui terreni o quant’altro, ci sono comunque delle regole, che sono tipo quelli dello spargimento dei resi zootecnici eccetera…». «Gliel’hanno posto sotto sequestro, la Finanza i Carabinieri non so chi, perché l’hanno trovato pieno di plastica, di porcheria e quant’altro». A parlare sono due funzionari dell’Arpacal – indagati dalla Procura di Vibo Valentia – perché avrebbero omesso di segnalare la necessità di sospendere le attività della “Eco Call Spa”, agevolando la continuazione dell’attività e la messa in circolo di grossi quantitativi di materiale non regolarmente trattato e non regolamentare, inquinante e nocivo per la salute. «(…) una cosa che mi dicono loro, che chiudono l’impianto per mettersi a posto e una cosa è che li chiudo io e gli dico non potete lavorare e accettare rifiuti, perché poi se la prendono con il sottoscritto che li ha chiusi e, diranno al pubblico, che è stata Arpacal che li ha chiusi e non possono ricevere (…) non loro che sono in difetto e devono chiudere per potersi mettere a posto, sono due…».

Dall’impianto al Mesima

Passa ancora qualche giorno – è il 19 luglio 2021 – e ai militari arriva un’altra segnalazione, questa volta dalla proprietaria di un terreno a Vazzano, vicino al Mesima, e non troppo distante dall’impianto di compostaggio di rifiuti organici della “Eco Call spa”. Una volta sul posto, i Carabinieri intuiscono che lo sversamento di liquami era riconducibile allo scarico di acque industriali dell’impianto vicino e, oltre ad effettuare i necessari accertamenti urgenti, con l’esecuzione di rilievi fotografici e videoriprese, hanno anche eseguito la campionatura del liquido per le successive analisi di laboratorio. Solo tre giorni prima la proprietaria del terreno aveva notato un rigagnolo d’acqua di colore nero provenire dalla “Eco Call” che emanava «una forte puzza che sembrava cuoio marcio…» e si riversava nel fiume sottostante. Ed effettivamente, nel corso del sopralluogo effettuato nella sede dell’azienda, i militari notano che il liquido – tracciato dalla fluoresceina sodica – attraverso le grate di raccolta delle acque e seguendo un sistema di collettamento, raggiungeva «il tubo di scarico sito nelle adiacenze del fiume, per poi riversarsi sul terreno e raggiungere l’alveo del Mesima». In sintesi, dopo aver analizzato i due campioni di percolato, potevano essere classificati come «rifiuti speciali non pericolosi» in quanto le concentrazioni delle sostanze analizzate erano inferiori ai limiti previsti, «ad eccezione del “rame” e dello “zinco”, che risultavano superiori ai limiti previsti per le “acque superficiali”», scrive il gip nell’ordinanza. (g.curcio@corrierecal.it)

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