MILANO C’era grande attesa oggi per il riesame, nel Tribunale di Milano, contro il provvedimento del gip Tommaso Perna che aveva bocciato la ricostruzione accusatoria della Dda del capoluogo lombardo e rigettato la richiesta di custodia cautelare in carcere nei confronti di 79 indagati, tutti coinvolti nell’inchiesta “Hydra”. Oggi il deposito delle nuove dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia che raccontano della presenza di un vero e proprio consorzio tra Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta in Lombardia ipotizzato dal pm della Dda milanese Alessandra Cerreti e dal procuratore Marcello Viola.
I due hanno discusso davanti ai giudici del Tribunale della Libertà il primo troncone del procedimento suddiviso in sei parti per chiedere di ribaltare il provvedimento del giudice delle indagini preliminari nella convinzione che debba essere contestata «l’associazione per delinquere di stampo mafioso nei confronti dei presunti affiliati al “sistema Lombardia” descritto negli atti del pm che ha coordinato le indagini condotte dai Carabinieri». Atti integrati con il deposito di una serie di verbali di “pentiti” e di testimoni che comproverebbero la ricostruzione, non condivisa dal giudice Perna, della Procura: le “‘componenti’ delle tre tradizionali associazioni mafiose, operative sul territorio milanese” e non altrove “che si alleano strutturalmente tra loro per aumentare le possibilità di profitto” ed “evitare i conflitti”. L’udienza di stamane ha trattato 13 posizioni, tra cui quelle di Gioacchino Amico, in carcere però per reati come traffico di droga ed estorsioni (in un caso aggravata dalla finalità mafiosa), Massimo Rosi e Giuseppe Fidanzati, figure ritenute centrali nell’inchiesta. Il prossimo 20 marzo si discuterà il secondo troncone.
L’inchiesta ribattezzata “Hydra” avrebbe documentato almeno 21 summit tenuti nel 2020-21 fra gruppi ristretti di appartenenti nei Comuni di Dairago ed Assago, nel Milanese, e 54 diverse società-imprese in comune (ristorazione, noleggio, logistica, edilizia, parcheggi aeroportuali, importazione di materiale ferrosi, sanità e piattaforme e-commerce), queste ultime sufficienti a disporre il sequestro di 225.205.697,62 milioni di euro per false fatture. Tra i nomi più noti citati dall’Antimafia quelli di esponenti di vertice delle locali ‘ndranghetiste di Lonate Pozzolo (famiglia Rispoli collegata alla locale crotonese di Cirò) e Desio (cosca Iamonte legata alla locale di Melito Porto Salvo in Calabria), il clan Fidanzati e i Mannino nel palermitano per cosa nostra, i trapanesi vicini a Matteo Messina Denaro, il gruppo Senese per la Camorra. Il gip, respingendo l’impostazione della Direzione distrettuale antimafia nell’inchiesta condotta con i carabinieri, aveva parlato di prove “del tutto carenti” o “scarsamente argomentate” dell’esistenza di quella che giornalisticamente ha preso il nome di ‘super-mafia’ o ‘mafia tre teste’, descritta dagli inquirenti come una “struttura confederativa orizzontale” fra esponenti di varie mafie dove “i vertici operano sullo stesso livello”. Erano state disposte solo 11 misure di custodia cautelare e confermato l’impianto dell’accusa per alcuni reati di droga, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, minacce e frodi fiscali. (Gi.Cu.)
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