Mi è capitato di scriverlo di spesso, e senza falsa vergogna.
Al primo compito in quarto ginnasio presi quattro meno.
Alla maturità, dopo cinque anni di sacrifici e libri, riuscii, però, a prendere uno schioccante e scioccante dieci.
Feci il tema sulla questione meridionale per esternare la mia sofferenza e per non raccontare, un domani, che c’era una volta il Sud.
Il Sud che in Calabria, verso la fine degli anni ‘70, un professore illuminato di scuole medie allungava ai suoi alunni, incoraggiandoli lungo un cammino accidentato.
Il cammino di tanti figli del Sud.
I figli del Sud.
Una storia.
Mille storie.
Di ragazzi e vite che si interrogano e si dileguano lungo l’eterna dicotomia fra chi resta e fra chi parte.
Ero un ragazzino come tanti.
Anzi, con molti privilegi in più degli altri.
Sarà stato per la copertina a contrasto; sarà stato per l’espressione triste del bambino inchiodato al suo destino fra una valigia di cartone e una fetta di pane; sarà stato per quella forza sotterranea dei libri che ti buca dentro e non ti lascia più; sarà che sono sempre stato della parte degli indiani, sarà perché sono un incrocio di etnie meridiane.
Da quando ho incrociato quel libro non l’ho più lasciato.
Da quando ho incrociato i figli del Sud, a Sud ho deciso di restarci.
Perché risalire la corrente è vivere.
Vivere contro, vivere comunque.
Anche se noi, a Sud, abbiamo il mare, ma pure un mucchio di problemi, e un binario unico. Che costeggia le nostre spiagge, le sorprende e le rispetta. I treni viaggiano pochi. E lenti. E, quando li senti sbuffare, è segno che sta per arrivare l’estate.
Altrove rispettano le regole, lavorano e venerano il fine settimana più della domenica.
Noi, a Sud, dicono che non rispettiamo le regole, che non lavoriamo e onoriamo solo la domenica. Seduti sulle panchine dirute di piazze soleggiate con le paste in mano, il vestito della festa e il ragù che ce lo macchia.
Altrove ambiscono al primato e sono sempre vincenti.
Noi, a Sud, siamo marginali, ci ritengono sconfitti, combattiamo da sempre con il Fato. Camminiamo piano e, pure, strano.
Da quando ho incrociato quel libro, lo ripeto, non l’ho più lasciato.
Da quando ho incrociato i figli del Sud, a Sud ho deciso di restarci.
Perché risalire la corrente è vivere.
Una storia, quella dei figli del Sud, che morde se stessa, e si ripete.
Siamo, di certo, fuori dal tempo.
I figli, i nostri figli, oggi, non sono figli del Sud. Sono figli del mondo.
Io, lo ammetto, ho orizzonti limitati.
Limitati a est dal mare del mito e a nord dalle montagne.
Io, però, non voglio perderli, i miei figli. E i figli del Sud.
Continuerò a credere che i figli del Sud, anche se dormono più su del Trasimeno, sognino altrove.
A Sud.
Dove rimani figlio per sempre.
*avvocato
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