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Il colpo al caveau, la fuga in Puglia e la latitanza garantita dagli “amici” della ‘ndrangheta

Nell’inchiesta della Dda di Bari emerge la figura di Christopher Luigi Petrone, considerato «uomo di Lovreglio e Parisi», legati anche ai clan calabresi

Pubblicato il: 16/03/2024 – 11:00
di Giorgio Curcio
Il colpo al caveau, la fuga in Puglia e la latitanza garantita dagli “amici” della ‘ndrangheta

LAMEZIA TERME Poco più di una dozzina di uomini, tutti a volto coperto e con in pugno armi da guerra. E poi un mezzo cingolato e martello pneumatico, oltre ad un dispositivo “jammer”, fondamentale per inibire le frequenze e ostacolare le comunicazioni radio d’emergenza. Un colpo quasi perfetto quello messo a segno il 4 dicembre 2016, nel caveau della Sicurtransport spa, società di trasporto e custodia valori con sede a Caraffa di Catanzaro: 8,5 milioni di euro il bottino rubato in poco meno di 50 secondi mentre all’interno erano custoditi oltre 100 milioni di euro. Il commando fu individuato e arrestato dagli uomini della Squadra Mobile ad aprile del 2018. Il processo per quel colpo da film hollywoodiano si è chiuso con diverse condanne e, mentre per i giudici si trattò di «un lucroso affare da parte delle famiglie mafiose secondo la logica tipica di tali zone, cosche remunerate adeguatamente dopo il compimento della rapina», in Cassazione è stata esclusa l’aggravante mafiosa per due imputati, Giovanni Passalacqua e Dante Mannolo. L’inchiesta ebbe una svolta dopo la decisione di Annamaria Cerminara, compagna di Giovanni Passalacqua e complice della banda, di collaborare con la giustizia. Fu lei a svelare i dettagli del piano agli inquirenti.

La latitanza in Puglia

Ma, un ruolo nel colpaccio milionario lo avrebbero avuto anche alcuni soggetti pugliesi, legati alla criminalità organizzata di Bari e del quartiere Japigia, e coinvolti nel recente blitz della Distrettuale antimafia. Gli inquirenti, in particolare, hanno puntato i riflettori su Christopher Luigi Petrone, classe 1984, figlio di Michele, considerato dall’accusa «uomo a disposizione di figure di rilievo dell’associazione mafiosa quali Tommaso Lovreglio e Tommaso Parisi», ritenuti «legati ai clan della ‘ndrangheta calabrese». Secondo l’accusa, infatti, avrebbe dato «assistenza e copertura ed aveva favorito la latitanza di Alessandro Morra e Pasquale Pazienza», due delle persone coinvolte nel colpo notturno al caveau. All’epoca, infatti, i due erano finiti nel mirino della Distrettuale antimafia, convinti che il colpo «avesse agevolato le cosche della ‘ndrangheta». I due, infatti, furono poi colpiti da un decreto di fermo di indiziato di delitto il 20 aprile del 2018 e dalla successiva ordinanza risalente al 12 maggio 2018, emessa dal gip del Tribunale di Catanzaro su richiesta dalla Dda del capoluogo calabrese, all’epoca guidata dal procuratore Nicola Gratteri.

La ricerca della location perfetta

«Il principale elemento indiziario è fornito dalle intercettazioni» è scritto nell’ordinanza, alle quali vanno «affiancate le risultanze del procedimento a carico del padre di Petrone». Secondo l’ipotesi accusatoria, poi, le conversazioni metterebbero in luce l’impegno di Petrone «nell’aiutare il padre nel favorire la latitanza di Morra e Pazienza» e mostrava di conoscere e di avere «una certa confidenza non solo chiamandoli per nome, ma anche discutendo con loro di “affari”». Secondo quanto emerso ancora dall’inchiesta della Dda di Bari, lo stesso Petrone si sarebbe anche messo all’opera per individuare «un altro luogo per assicurare una comoda latitanza ai due ricercati, ipotizzando B&B o strutture site nella provincia barese». Petrone – sempre secondo l’accusa – era pronto ad ospitare i due ricercati anche nell’abitazione del padre, ma non solo. Le conversazioni in merito al successivo luogo della latitanza – è emerso dall’inchiesta – doveva essere tale da assicurare veloci vie di fuga, escludendo la zona “Capitolo” di Monopoli poiché sul mare. «Elemento – scrive il gip Ferraro nell’ordinanza – che consente di dedurre la consapevolezza da parte degli imputati che Morra e Pazienza fossero entrambi latitanti».

Il processo e la Cassazione

A marzo del 2022 i giudici della Corte di Cassazione hanno condannato Morra a 12 anni di reclusione e confermato l’assoluzione del bitontino Pasquale Pazienza. Ma avevano bacchettato i giudici dell’appello per quanto riguarda l’aggravante mafiosa che era stata esclusa nel secondo grado di giudizio. Secondo le ragioni degli ermellini, infatti, «la motivazione dei giudici di appello appare carente e lacunosa». «La corte territoriale – scrivono gli ermellini – ha, infatti, omesso di valutare adeguatamente l’effettiva portata delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Santo Mirarchi il quale, per come accertato dal giudice di primo grado, aveva riferito che l’assalto non era stato nemmeno ideato personalmente dal Passalacqua (Giovanni Passalacqua, ndr) ma era stato a questo proposto dal noto capo mafia Paolo Lentini della famiglia degli Arena senza il cui placet la rapina non si sarebbe mai potuta realizzare». A luglio del 2023 il gup del Tribunale di Catanzaro aveva condannato, in abbreviato, cinque soggetti accusati a vario titolo di rapina con l’aggravante della mafiosità per aver agevolato la ‘ndrangheta «insistente nel territorio di Catanzaro, Mesoraca, San Leonardo di Cutro, Petilia Policastro e territori limitrofi». (g.curcio@corrierecal.it)

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