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LETTERA R | «Per amore del mio popolo non tacerò»: 30 anni fa la camorra uccideva don Peppe Diana – VIDEO

Nuovo appuntamento con la rubrica del prof Giancarlo Costabile in onda ogni lunedì alle 14.40 su L’altro Corriere Tv

Pubblicato il: 18/03/2024 – 15:43
LETTERA R | «Per amore del mio popolo non tacerò»: 30 anni fa la camorra uccideva don Peppe Diana – VIDEO

LAMEZIA TERME «Trent’anni fa, il 19 marzo 1994, la Camorra uccideva in chiesa, nella messa mattutina, don Giuseppe Diana, conosciuto come Peppe Diana. Un delitto di Camorra terribile nei confronti di un ministro di Dio, di un sacerdote, nel giorno peraltro del suo onomastico, che ebbe una risonanza inesorabilmente mediatica e politica nazionali». Parta da qui il nuovo appuntamento con “Lettera R”, la rubrica de L’altro Corriere Tv curata dal prof Giancarlo Costabile, e in onda ogni lunedì alle 14.40 sul canale 75.

Il contrasto alla Camorra

«Don Peppe Diana era impegnato da tempo, era in prima linea nel contrasto culturale alla Camorra, al clan dei Casalesi. Spesso le sue omelie domenicali erano attraversate dall’invito alla ribellione, alla denuncia nei confronti dei poteri criminali. Tre anni prima di essere barbaramente trucidato, mentre era impegnato a celebrare la messa del mattino, era il Natale del 1991, don Peppe Diana fu protagonista di una importante azione, un documento che venne diffuso nelle chiese di Casal di Principe e nella zona aversana, che costituiva in qualche modo un manifesto non soltanto di impegno civile, quindi rivolto ai sacerdoti, rivolto ai credenti, ma un documento che conteneva una dimensione forte di denuncia verso il sistema di potere camorristico che non era soltanto di matrice militare, ma era anche e soprattutto pieno e permeato di relazioni con la politica e con le istituzioni corrotte». «Proviamo a leggere le parole ispirate, volute, diffuse da don Peppe Diana, per fare della sua memoria un ricordo attivo, per fare della sua memoria un ricordo scomodo, per recuperare quella grammatica, quel linguaggio di analisi dei poteri criminali, soprattutto per quanto riguarda il livello di complicità delle istituzioni. Tema assolutamente attuale. Il primo passaggio don Peppe Diana e gli altri sacerdoti lo dedicano all’identità della Croce di Cristo e quindi il Vangelo, come battezzati in Cristo, ci sentiamo investiti, scrivevano, “della nostra responsabilità di essere segno di contraddizione, coscienti che come Chiesa dobbiamo educare con la parola e la testimonianza”. Il vangelo che ispirava, che rivendicava don Peppe Diana nella sua azione era il vangelo degli ultimi, il vangelo dei poveri».

«Subito dopo, la matrice identitaria che costituiva il senso della sua pedagogia, del suo impegno educativo di coscientizzazione, don Peppe Diana attacca il potere della Camorra, definita all’epoca una “forma di terrorismo che incuteva paura, che imponeva le sue leggi, che tentava di diventare una componente endemica della società campana”. “I camorristi impongono con la violenza regole inaccettabili, estorsioni, traffici illeciti, spaccio e traffico di sostanze stupefacenti, infiltrazioni nell’economia cosiddetta legale”». «Subito dopo – spiega Costabile – c’è l’attacco forte alle responsabilità politiche, cioè chi aveva consentito e chi stava consentendo ai casalesi di diventare sempre più forti, sempre più presenti, invasivi nella gestione del territorio, un potere diventato pienamente sovrano, seppur all’interno di uno Stato democratico e repubblicano».
«L’attacco “è diretto alla politica che ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico”, dice don Peppe Diana e sacerdoti. A tutti i livelli la Camorra “riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzioni, lungaggini, favoritismi. La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale e quindi finisce per essere avvertito inesorabilmente dai cittadini, orfani dello Stato, come l’unica possibile autorità territoriale”». «L’impegno dei cristiani, e don Peppe Diana si rivolge alla sua comunità di credenti, invocando che cosa? La dimensione profetica del sacerdozio, in realtà la dimensione profetica del cristianesimo, cioè la capacità di essere, richiamando figure importanti, la capacità di essere contro l’ingiustizia, quindi profeti di giustizia sociale, uomini e donne in grado di contrastare la cultura della sopraffazione e delle sofferenze che la sopraffazione genera».
«Ecco, la conclusione è un invito ad avere coraggio: i cristiani, i credenti dovevano avere coraggio per opporsi a tutto questo. Tre anni dopo don Peppe Diana viene ucciso nel giorno di San Giuseppe, nel giorno della Festa del Papà».
«C’è un altro sacerdote di cui spesso parliamo, don Tonino Bello, che scrive cose significative, importanti, con questo noi chiudiamo come omaggio a Don Peppe Diana attraverso il San Giuseppe di Tonino Bello che parla di Giuseppe come uomo coraggioso. E il coraggio di Giuseppe, secondo Tonino Bello, era la capacità di “essere un profeta della speranza. Perché la paternità non è soltanto affare generativo di vita, di vita biologica, di vita materiale. La paternità è politica cioè, è esercizio di custodia, esercizio di custodia della vita, di difesa della vita attraverso idealità che il Vangelo, di cui poi Giuseppe inesorabilmente era espressione, poi ha annunciato a tutti i fedeli attraverso la storia di Gesù”».
«Cioè, la capacità di custodire i valori della vita, quelli di prossimità, quelli di giustizia sociale, quelli che si fanno linguaggio di speranza per i deboli, per gli ultimi, per i sofferenti, ecco quel linguaggio che nella lotta alle mafie – spiega ancora Costabile – porta a scegliere da che parte stare, quel linguaggio che ti vincola a dei comportamenti, quel linguaggio che ti schiera verso precise norme di condotta esistenziale. Ecco, il 19 marzo è la festa di chi è padre, è la festa di chi diventerà padre, la festa di chi è stato padre e anche di chi non lo diventerà mai su un piano biologico, è la festa di chi come don Peppe Diana ha saputo farsi padre dell’umanità, padre di un territorio, padre di una comunità in cerca di riscatto». «Ha saputo custodire fino alla fine le ragioni della speranza, le ragioni del riscatto, le ragioni della liberazione e che sia per tutti noi un San Giuseppe di speranza nel ricordo di don Peppe Diana e nell’esercizio di una paternità politica responsabile come strumento di speranze collettive, di speranze condivise». (redazione@corrierecal.it)

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