VIBO VALENTIA Rapiti, uccisi e fatti sparire. Con l’intenzione di eclissarne anche il ricordo. Sono oltre 40 le vittime di lupara bianca nel vibonese, l’atroce metodo di occultamento del cadavere diventato ormai un simbolico modus operandi della ‘ndrangheta. Loculi vuoti che rischiano di non essere mai riempiti e le speranze dei familiari “aggrappate” a qualche pentito che, mosso da un sussulto di umanità, potrebbe indicarne la posizione dei resti. Come nel caso di Pino Russo, il giovane ucciso dalla ‘ndrangheta nel 1994 e ritrovato sepolto nelle sperdute campagne di Dinami, nel Vibonese, solo grazie alle indicazioni di uno degli assassini. L’impervio entroterra vibonese (in generale quello calabrese) si presta perfettamente alla crudeltà del metodo: ettari ed ettari di campagne, fiumi, boschi e montagne in cui trovare un corpo, spesso interrato o bruciato, diventa quasi impossibile. Alla base una duplice motivazione: complicare le indagini ostacolando un eventuale processo e, da un punto di vista simbolico, cancellare ogni traccia della vittima, compresa la sua memoria.
Uomini, donne e anche bambini. Soggetti coinvolti nelle dinamiche della criminalità organizzata o persone del tutto innocenti. Una scia di sangue legata nella maggior parte dei casi alle faide che hanno tormentato la provincia vibonese. Domenico Servello, fratello del collaboratore di giustizia Angiolino e legato ai Mancuso, per esempio, scompare nel 1979 proprio nell’ambito di una lite tra ‘ndrine. Un fatto a cui sarebbe legato l’omicidio di Antonio Arena, padre del collaboratore Bartolomeo e svanito nel nulla nel 1985 dopo essere stato attirato in una trappola, secondo le dichiarazioni del pentito, da Giuseppe ‘Mbrogghja Mancuso. Quest’ultimo fu accusato di essere anche il mandante dell’omicidio di Pasquale Palermo, 27enne di Rombiolo di cui si sono perse le tracce nel 1983. Ancora più tragica è la scomparsa, il 2 gennaio del 1983, di Francesco Pugliese, detto Cecchino, sul quale hanno riferito Bartolomeo Arena e Andrea Mantella. Il 13enne sarebbe stato ucciso come ritorsione al clan dei Cassarola, nell’ambito della faida contro i Pardea. Vittime di lupara bianca e delle stesse faide Francescantonio Pardea, il 24enne Alberto Coscarella e il 20enne Antonio Galati di San Gregorio d’Ippona.
Tra il 1985 e il 1986 spariscono tre ragazzi di Piscopio: Giovanni Santacaterina, Domenico Patania e Giuseppe Lucia. Per gli ultimi due le cronache dell’epoca riportano di uno scontro interno a una banda che organizzava un sequestro. Successivamente scompaiono Filippo D’Andrea di Briatico, Francesco Maccarone e Domenico e Nicola Tambuscio. I fratelli Tambuscio, secondo Bartolomeo Arena, furono uccisi dal presunto boss vibonese Enzo Barba. Nel 1989 svanisce nel nulla Vincenzo Ferraro, di soli 19 anni. Un caso particolare è la storia dei fratelli Francesco e Massimiliano Covato di Portosalvo, entrambi vittime di lupara bianca a cinque anni di distanza l’uno dall’altro. Risale al 1990 l’omicidio del primo, per il quale il presunto autore è stato rinviato a giudizio nel 2022 in seguito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carlo Vavalà. Nello stesso anno viene denunciata la scomparsa di Giuseppe Vinci di San Gregorio, mentre due anni dopo tocca a Nicola Candela, 22enne di Cessaniti ritenuto responsabile del sequestro del dentista Giancarlo Conocchiella e successivamente punito dalle cosche, come racconta Andrea Mantella, perché «nessuno aveva autorizzato il sequestro».
Negli anni ’90 si perdono le tracce di Domenico Serraino di Francavilla, Raffaele Reggio di Nicotera, Ilario Stramandinoli di Acquaro e Giuseppe Brizzi di Maierato. Brizzi, secondo Mantella, sarebbe stato torturato, bruciato e sotterrato nei pressi del lago Angitola come punizione dopo l’incendio di un camion dei Cracolici di Maierato. A Filadelfia scompaiono Francesco Anello e, soprattutto, Francesco Aloi, ucciso per una relazione con una donna legata alle ‘ndrine locali. Di lui si troverà soltanto un piede sulla spiaggia di località Colamaio di Pizzo. Nel 1996 due importanti omicidi di ‘ndrangheta che destabilizzano gli equilibri criminali: quello di Mimmo Giuseppe Currà, 20enne di Mileto che sarebbe stato “punito” per alcuni furti, e Roberto Soriano, il cui omicidio, raccontato da diversi collaboratori, si sarebbe concluso con la distruzione del corpo mediante la fresa di un trattore.
Nel 1997 Nicola Lo Bianco, figlio del boss Carmelo “u sicarru” viene rapito, ucciso e il corpo occultato. L’anno seguente sono cinque le persone finite nella voragine della lupara bianca: Raffaele Sergio Pisano, acquarese di 21 anni, Giuseppe Caserta di 29 anni, Gerardo Arena di 27 anni e Antonio Mazzeo di 24, entrambi uccisi, secondo Andrea Mantella, da Peppone Accorinti.
A loro si aggiunge Placido Scaramuzzino, uno dei “fantasmi” delle Preserre, insieme a Rocco Maiolo, Emanuele Fatiga, Antonio Donato e del pensionato Giuseppe Cavallaro scomparso nel 2008.
Negli anni 2000 diminuiscono le faide ma non le vittime di lupara bianca. Tra queste Salvatore Ruggiero di 47 anni e Filippo Gangitano, vibonese di 35 anni. Se il corpo di Gangitano non è mai stato ritrovato, diverse ipotesi sono state fatte sulla sua morte. A partire da quella che lo vorrebbe ucciso perché omosessuale. Teoria smentita da Bartolomeo Arena, secondo cui invece sarebbe stato ucciso «per paura che cantasse». Nel 2002 scompare un altro ragazzo di 14 anni: si tratta di Luca Cristello di Francica, il cui caso è stato trattato anche dalla trasmissione “Chi l’ha visto?” di Federica Sciarelli. La storia tragica di Santo Panzarella richiama invece quella di Francesco Aloi. Panzarella, di cui furono ritrovati solo alcuni resti, avrebbe intrattenuto una relazione con la moglie di un boss. Filadelfia viene nuovamente colpita quattro anni dopo, quando, nel periodo di Natale, Valentino Galati esce di casa senza mai farvi più ritorno. Se di lui non si hanno ancora notizie, diversa è la tragica fine del fratello Cristian che tre anni dopo verrà aggredito, bruciato e ucciso. Nel 2007 nel mirino della criminalità finisce Michele Penna di Stefanaconi, il cui omicida è stato condannato in Cassazione a 24 anni di carcere ma il corpo mai ritrovato nonostante le costanti ricerche delle forze dell’ordine e dei genitori. A loro si aggiungono Massimo Stanganello e Antonio Giurlanda, entrambi uccisi nel 2008.
Ci sono poi le vittime più recenti e “conosciute”, come quella di Maria Chindamo, uccisa nel 2016 e «data in pasto ai maiali», il cui processo è iniziato pochi giorni fa. Stessa tragica fine di Francesco Vangeli, il 26enne di Filandari scomparso nel 2018. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, Vangeli sarebbe stato attirato in una trappola, ucciso e il corpo gettato in un fiume. Vani, finora, i dolorosi appelli di mamma Elsa di ricevere il corpo del figlio. Alla lunga lista delle persone svanite nelle Preserre vibonesi si sono aggiunti Massimo Lampasi nel 2013 e Pasquale Andreacchi, scomparso nel 2009 e del quale sono stati ritrovati soltanto brandelli di corpo. Più di 40 morti che hanno in comune un tragico epilogo: omicidi senza cadavere. L’ultimo presunto caso di lupara bianca è quello su cui stanno indagando da giorni i Carabinieri di Vibo Valentia: un giovane rumeno di cui si erano perse le tracce dal 2008, il cui corpo potrebbe trovarsi in una zona rurale di Filandari. Come ha ricordato il procuratore di Vibo, Camillo Falvo, «ci sono lupare bianche anche di persone che non si conoscono e che sono un po’ dimenticate». (Ma.Ru.)
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