ROMA Un enorme telo con i colori della pace. I passi di centomila persone scanditi dalle canzoni che raccontano storie di lotta, coraggio, resistenza. Quella di Peppino e di chi ha deciso di stare dalla parte giusta. La stessa Resistenza che ha ispirato quest’anno la Giornata della Memoria e dell’Impegno in una Roma che sotto un caldo sole di inizio primavera ha abbracciato i familiari delle vittime innocenti di ‘ndrangheta, Cosa nostra, Camorra, Sacra corona unita, Stidda, quel male che «si deve chiamare per nome». L’invito di don Luigi Ciotti sul palco in un Circo Massimo gremito. Le parole “memoria” e “impegno” ripetute più e più volte affinché non diventino solo retorica, ma capaci di «squarciare quel velo di omertà che nasconde certe verità».
E continuano a chiedere verità centinaia di madri, padri, fratelli, sorelle, figlie e figli. Sembra una festa di colori il 21 marzo, canti di speranza e voglia di rinascita. Ma nel cuore di chi si trova in testa al corteo i sentimenti sono altri. Lì i familiari marciano con le lacrime agli occhi, al collo o sul cuore la foto con il volto di chi non c’è più, strappato per sempre alla vita dalla furia omicida di chi spesso rimane senza nome.
Camminano con lo sguardo perso nel vuoto. Non cedono alla ricerca della vendetta personale, ma si affidano a quelle Istituzioni alle quali si appellano continuamente.
Una lotta che non inizia e non finisce il 21 marzo, una lotta che quest’anno ha avuto il volto Teresa Gullace. Accanto allo slogan “Roma città libera” la sagoma di “Pina”, personaggio interpretato da Anna Magnani nel capolavoro di Roberto Rossellini “Roma città aperta”. Teresa, mentre correva, incinta, per cercare di dare un po’ di conforto al marito arrestato durante un rastrellamento durante l’occupazione nazista, fu uccisa da un soldato sotto gli occhi di chi continuerà poi quella lotta per lei. Fino alla Liberazione.
Una donna calabrese che diventa il simbolo di una lotta che non si può arrestare, la miccia di una resistenza fatta di prese di posizioni precise. Posizioni scomode, che non tutti hanno il coraggio di assumere, ma necessarie perché non c’è memoria senza vero impegno. «E a chi dice che la figura di Peppino Impastato è divisiva, – ha detto don Ciotti riferendosi a polemiche scoppiate in Sicilia per l’intitolazione di una scuola – dico: ben venga che lo sia, perché ha scelto di stare dalla parte giusta. Mi auguro che tutti diventiamo divisivi, cioè capaci di distinguere il bene dal male». (m.ripolo@corrierecal.it)
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