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FUTURI POSSIBILI

Nava: «Aree interne? In Calabria occorre chiudere un libro ed aprirne un altro»

La disamina della docente di progettazione ambientale della Mediterranea sullo sviluppo delle zone periferiche: «Vanno considerate parte di sistema integrato»

Pubblicato il: 24/03/2024 – 6:56
di Roberto De Santo
Nava: «Aree interne? In Calabria occorre chiudere un libro ed aprirne un altro»

REGGIO CALABRIA Rivitalizzazione di borghi e centri storici per combattere la pauperizzazione delle aree interne. Una ricetta che però da sola non basta a far germogliare i semi dello sviluppo di queste zone. E a ridurre l’impatto del progressivo abbandono di intere fette del territorio calabrese con effetti devastanti sulla tenuta socio-economica locale. Un meccanismo infernale che funge da moltiplicatore al fenomeno dello spopolamento di queste aree compromettendo a cascata anche il futuro dell’intera regione.
Per invertire questa narrazione che sembra volgere verso un finale a tinte fosche per la Calabria, occorre non solo voltare pagina ma «chiudere un libro ed aprirne un altro». Parola di Consuelo Nava, professoressa ordinario in Progettazione Tecnologica ed Ambientale dell’Architettura, esperta di Sostenibilità e Innovazione del progetto.
La docente è direttrice del laboratorio universitario ABITAlab ed attualmente ricopre le cariche istituzionali di Coordinatrice del Corso di Laurea in Architettura e Vicedirettrice del Dipartimento di Architettura e Territorio all’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Per Nava, le aree interne possono rappresentare una soluzione agli sconvolgimenti ambientali che colpiranno nel prossimo futuro gli altri territori. Ma a condizione di avere una visione strategica lungimirante che tenga conto di quelle potenzialità.

Consuelo Nava, professoressa ordinario in Progettazione Tecnologica ed Ambientale dell’Architettura-Università “Mediterranea” di Reggio Calabria

Le aree interne calabresi possiedono un enorme patrimonio storico-architettonico costituito da borghi antichi, insediamenti rurali, chiese e palazzi di pregio. A cui si somma il valore paesaggistico dei luoghi. Come potrebbero contribuire a creare condizioni di sviluppo di zone soggette a un processo di impoverimento?
«Le aree interne del nostro paese, propriamente dette, sono rappresentate da circa 4.000 comuni, in Calabria da circa 325 comuni, quasi l’80% del territorio. A differenza della prima metodologia di classificazione nella Strategia delle Aree Interne della Programmazione 14-20, l’aggiornamento del 2022, ha classificato le aree interne non più basandosi sulla distanza in minuti dai comuni poli, attribuendole ai comuni capoluoghi per via dei servizi essenziali (sanità, scuole, infrastrutture), ma aumentando il riferimento delle aree rappresentate dai comuni di cintura. In Calabria, rispetto alla prima classificazione si sono aggiunti anche comuni di costa, per esempio. Perché apro con questo passaggio? Perché è indubbio che se non si concepiscono le aree interne calabresi nella loro possibilità di utilizzare i comuni di cintura come aree intermedie tra quelle periferiche e ultraperiferiche e le aree urbane, si rischia di non comprendere le potenzialità di un territorio, che per la verità è in via di spopolamento e a rischio demografico, tanto nei comuni interni, quanto nei poli urbani. Invertire la tendenza per attivare processi di sviluppo, comporta un grande sforzo di lungimiranza e di visione del futuro, che in maniera radicale rigiri il cannocchiale e guardi alle città dalle aree interne e dalle aree interne alle città. Non si tratta di lavorare sul policentrismo così detto, ma occorre comprendere le opportunità di un sistema, che insieme ad un mio ricercatore abbiamo definito quale processo di “commuting”. Vale a dire concepire le aree di cintura, come sede di tutti i sistemi di infrastrutture, servizi periferici e modi per far circolare e smistare geograficamente tutte le attività che quotidianamente si svolgono nei comuni interni e nelle città. Il patrimonio storico-architettonico dei comuni interni appartiene tanto alle città, quanto le città sono capaci di farne valore integrato in sistemi di accessibilità e promozione, altresì i comuni interni non possono che co-governare processi di valorizzazione culturale, produttiva e sociale, connettendosi ai poli urbani che necessitano di diventare “città”. Per uscire dall’isolamento, qualsiasi territorio, deve guardare oltre i propri confini non perdendo la qualità del proprio abitare, nella contemporaneità».

Il borgo di Badolato

Ritiene che il riuso dei nuclei storici, dei borghi e degli insediamenti produttivi antichi nell’ottica del turismo sostenibile è una strada che è possibile percorrere in Calabria?
«Il turismo sostenibile, oggi, non si nutre solo di bei paesaggi, storia, cultura territoriale, caratteri ambientali. Anche le attività in “itinerari esperenziali” o comunque “di cammino” che attraversano borghi, nuclei storici e insediamenti produttivi, richiedono una nuova narrazione. È necessario, anche utilizzando i più avanzati metodi e le più avanzate tecnologie, far emergere non solo storia, cultura materiale e identità immateriali (penso per esempio all’identità linguistica in alcune aree della Calabria, che abbiamo identificato con “le minoranze linguistiche”, dandogli da subito il profilo della marginalità…), ma soprattutto la capacità di mutare quei sistemi produttivi che hanno fatto un tempo la ricchezza delle comunità e anche direi la resilienza, in valori da reimmettere in nuove filiere della produzione culturale, artigianale. Capaci ora di incentivare forme di economia sostenibile, circolare per gli abitanti che risiedono in quei luoghi e molto disponibile per intercettare altre filiere innovative di diverse dimensioni».

Lerosione della costa è figlia di una cattiva gestione del territorio. Ma anche dei cambiamenti climatici in atto

Ma a quali condizioni?
«Per via degli effetti del surriscaldamento del pianeta che provoca i cambiamenti climatici, il nostro territorio di costa costringerà i comuni del litorale a cercare nuovi e vecchi luoghi da insediare, abitare. I comuni di cintura, con grandi qualità ecologiche, dovranno essere infrastrutturati a tal punto da difendere il territorio dalle crisi ambientali con progetti di mitigazione, e i comuni interni dovranno essere socialmente sicuri in termini di servizi. I poli urbani, dovranno investire nell’ammodernamento delle reti e dei servizi ecosistemici, pianificare una strategia adattiva e rigenerativa per il proprio territorio, aggrapparsi ai comuni di cintura, per mitigare gli impatti prodotti da anni di invasione di cemento, asfalto e abbandono delle periferie, proprio quelle dell’ultima linea di confine con i comuni di cintura. Le condizioni sono quelle riferibili ad una visione di futuro e una capacità di competitività sana per esprimere quei valori produttivi e culturali che in Calabria sono annegati nella frammentarietà degli investimenti territoriali, di programmazioni strutturali che non hanno risolto i problemi emergenti e non hanno nemmeno avviato processi strategici. Di incidere nella cultura della disperazione praticata a tutti i livelli, nella comodità di vedersi emarginati, arretrati e quindi immobili, spesso “peggiori nemici di se stessi”, abdicando alla marginalità. L’innovazione chiede metodo e creatività. Qualità che non nascono e crescono in ambiente depresso e nostalgico. La storia si onora con il disturbo che possiamo dare al presente “cosi come è” o “come non dovrebbe essere”. Organizzando davvero il futuro, nelle sue capacità di esprimere sviluppo». 

Molti edifici dei centri storici calabresi versano in stato di abbandono

In molti casi però questi siti pregiati versano in uno stato di abbandono.  È questione di mancanza di fondi o c’è dell’altro?
«Una grande quantità di risorse sono state investite, negli anni, con differenti programmazioni sui territori delle aree interne, alcuni interventi hanno visto più lontano, altri hanno avuto il difetto di pensare che il paese potesse rivivere una storia passata, con interventi di recupero che però non hanno poi investito sui processi di mantenimento e accessibilità ai beni, assicurando i servizi necessari, la loro gestione e la loro vita nel quotidiano. Difetto ancora presente anche nelle città. Oggi, ancora una volta ci viene offerta una grande possibilità di connettere comunità a territori produttivi, attraverso processi innovativi di sviluppo, economicamente sostenuti dal debito che stiamo trasferendo sulle generazioni future. Le misure del PNRR, attivate per rispondere alla grande crisi pandemica e ai suoi impatti, spesso escludono proprio coloro che dovranno solvere questo debito, i giovani. In Calabria diminuiscono e ancora quelli che vanno “altrove” non sono sostituiti da altri giovani che potrebbero scegliere la regione come loro tappa temporanea o luogo in cui vivere e produrre. Dovremmo occuparci di entrambi i fenomeni. Oggi ci si muove non più e solo per motivi di lavoro, ma anche per esigenze legate al desiderio di qualità della vita, di servizi sicuri, di bellezza: la società post-covid è molto cambiata. Le nostre città devono diventare belle e sicure, le nostre aree interne devono ritrovare la bellezza, offrendosi come luoghi ideali dove lavorare, vivere e produrre, trovare accoglienza e ricettività. I processi economici di valore non devono escludere alcun territorio, alcuna comunità. Ovunque si può diventare marginali e fragili, anche nelle metropoli, come è evidente».

Il dissesto idrogeologico è causa ed effetto dellabbandono delle aree interne della Calabria

C’è anche da affrontare un problema di manutenzione del territorio e degli edifici. Il rischio idrogeologico e la vulnerabilità delle costruzioni rispetto a fenomeni sismici in Calabria sono particolarmente elevati. Si è fatto abbastanza?
«Non si è fatto nel passato abbastanza. Si sono accumulati ritardi per interventi di risposta agli impatti da fenomeni naturali di degrado a guasto (a volte tragedia…) avvenuto, dovuti proprio alla geografia e morfologia dei nostri territori “tanto belli quanto fragili” e oggi, come detto, i rischi aumentano. Si parla di fenomeni multirischio e della necessità di considerare la vulnerabilità sismica, insieme alla vulnerabilità climatica e vulnerabilità idrogeologica. Processi di simulazione e strumenti predittivi possono quantomeno conoscere gli stati con cui il fenomeno può manifestarsi nelle diverse condizioni di scenario, non solo connesso al tempo, ma soprattutto connesso all’esposizione al rischio dei nostri territori. Il progetto rigenerativo, con strumenti digitali, che per esempio pratichiamo con i giovani ricercatori del nostro laboratorio, lavora per fornire modelli, informazioni, dati, progettualità, di supporto alle decisioni di tecnici ed amministratori per le politiche attive sui territori. In ambito universitario e nel mondo scientifico ormai vi sono studi e strumenti avanzati per progettare bene anche in termini di 30, 50, 100 anni e oltre, a tutte le latitudini».

E poi c’è il fenomeno dello spopolamento di queste aree che in Calabria sembra inarrestabile. Un fenomeno che influisce pesantemente anche sulla tenuta di queste preziose testimonianze del passato. C’è il rischio che si perda anche il valore identitario dei luoghi?
«Una delle cause continue, dirette e fisiche del degrado, oltre ai fenomeni riferiti, è certamente lo spopolamento e l’abbandono dei territori. Il paesaggio, le produzioni e l’abitare sono affidati prima di tutto “alla cura” degli abitanti dei luoghi. Le aree interne in tal senso rischiano di più. È inutile dire che potremmo vivere di turismo, cultura, storia, produzioni e che abbiamo circa 790 km di costa e circa 116 comuni costieri, se non ci interessiamo a proteggere e progettare i nostri litorali per gli scenari futuri e investiamo ancora in “progetti di lungomare” sullo Jonio, mentre il Tirreno degrada e viceversa e le mareggiate arrivano e portano via tutto.  Lo stesso si dica per i comuni ultraperiferici e pedemontani, con la loro importanza di ricadere in uno dei tre Parchi della Calabria e rischiare l’isolamento, pur essendo, magari, fisicamente parte di una rete ecologica di grandissimo valore. Ci sono luoghi nel mondo che hanno trasformato i loro territori costieri in nuovi boschi, aumentando la permeabilità del territorio e difendendosi dall’effetto dell’innalzamento dei mari e noi che veniamo da territori con la macchia mediterranea, le pinete a mare, sistemi dunali ancora progettiamo cemento a mare con durata a scadenza di prossima mareggiata. Mi sembra si tratti di accanimento terapeutico e di visioni molto corte, ancorché irresponsabili. Il problema non è la perdita del valore identitario, ma è l’incapacità di produrre “valori autentici e proattivi” per il territorio. Senza comprendere l’autenticità dello stato dei luoghi e della sicurezza per le comunità, l’identità non produce né valore, né benessere e né turismo. Offendiamo pure la storia».

Come il mondo accademico calabrese potrebbe contribuire a mettere in campo una corretta strategia di recupero di questo patrimonio. E quali sono le priorità?
«Io credo che il mondo accademico e più in generale della “conoscenza” debba attivare processi di co-progettazione per la responsabilizzazione dei decisori pubblici e soprattutto l’accompagnamento delle comunità ad un’idea di futuro che non può essere nostalgicamente ancorata alle fotografie del passato. Piuttosto mi affiderei “ai filmini di famiglia”, quelli capaci di narrare come negli anni il cambiamento di comportamenti umani, costumi e luoghi hanno segnato la storia di pagine di valore di generazioni e dei nostri territori, soprattutto in ambito culturale e produttivo. L’Università ha l’obbligo di traghettare i giovani nel futuro, di anticipare processi di cambiamento culturale e territoriale e offrire la propria attività di studio, di proposizione di progettualità, di scenari narrati ormai con grandi capacità di proiettare stati futuri e loro opportunità. Il territorio si deve poter fidare e affidare all’Università questo ruolo e il mondo accademico deve ambire a guadagnarsi questa fiducia e riconoscimento. L’Università Mediterranea, con tutte le competenze che afferiscono ai diversi dipartimenti e che vedono impegnati docenti, ricercatori, giovani studiosi in attività di progetti competitivi su programmazioni a tutti i livelli, su opportunità nazionali ed europee, costituisce un Laboratorio interdisciplinare pronto ad essere parte attiva in questo processo di strategie per la sicurezza, valorizzazione e innovazione del territorio, con studi e esperienze di eccellenza. In questo momento, tra l’altro, proprio per uno dei programmi attivi sul PNRR, con “Tech for You _ Ecosistemi dell’Innovazione”, insieme all’Università della Calabria e Università della Basilicata e molti altri partners tra organismi di ricerca e Pmi, start up e spin-off, laboratori universitari, si sta lavorando a progetti pilota da trasferire sul territorio, al fine di attivare economie e processi rigenerativi, in scenari di cambiamento climatico. Una popolazione di studiosi che lavora per incontrare la popolazione della Calabria e della Basilicata, direttamente sul campo, mentre lavora oggi a progetti innovativi e realizzazioni utili e assolutamente visionarie per la Calabria del futuro.  Per i giovani provenienti da ogni luogo che si danno appuntamento in Calabria, non per le vacanze, ma per pensare, immaginare, produrre, studiare, lavorare e incontrare altri futuri possibili per la nostra terra e non solo. Liberi di crederci, liberi di fare, abitando ovunque il nostro territorio». (r.desanto@corrierecal.it)

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