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I tanti volti dell’infelicità. Il romanzo di Carmen Verde apre gli incontri della decina del Premio Sila’49

Il romanzo d’esordio “Una minima infelicità”, già finalista al Premio Strega, ha uno stile che ipnotizza diversi tipi di lettore

Pubblicato il: 25/03/2024 – 17:14
di Concetta Guido
I tanti volti dell’infelicità. Il romanzo di Carmen Verde apre  gli incontri della decina del Premio Sila’49

COSENZA «Felicità è avere avuto una madre felice». Carmen Verde fa suo questo semplice e gigantesco punto di vista che ha scovato tra le pagine di Rossana Rossanda. E cala il silenzio tra il pubblico del primo appuntamento della decina 2024 del Premio Sila ’49. Perché tutti abbiamo avuto una madre e un rapporto materno su cui riflettere per un attimo. Il suo romanzo “Una minima infelicità”, pubblicato da Neri Pozza, ha aperto le presentazioni dei finalisti della dodicesima edizione della prestigiosa gara che porta a Cosenza gli scrittori più significativi dell’editoria italiana.

La presentazione

Nella sede della Fondazione, in cima ad un antico palazzo affacciato sulla piazzetta  dei Follari, l’autrice di Santa Maria Capua Vetere, che da tempo vive a Roma, ha dialogato con Elena Giorgiana Mirabelli, scrittrice e docente di corsi di scrittura – anche per la Scuola Holden di Alessandro Baricco, – e con la direttrice del Premio Sila, Gemma Cestari. I prossimi appuntamenti in calendario sono l’8 aprile con Greta Pavan, autrice di “Quasi niente sbagliato”, Bollati Boringhieri e l’11 aprile con Pierpaolo Vettori e il suo “L’imperatore delle nuvole”, Neri Pozza.

Il romanzo d’esordio di Carmen Verde, già finalista al Premio Strega, ha uno stile che ipnotizza diversi tipi di lettore. Lo sguardo narrativo è di Annetta, la protagonista, alta un metro e trenta centimetri circa per tutta la vita. Figlia di Antonio Baldini, un commerciante di tessuti, un uomo spento e perbene. Sofia Vivier è la madre di Annetta, sofisticata come il suo cognome francese, bella e anaffettiva, persa in se stessa, smarrita tra i suoi amanti. Cerca una tregua acquistando statuine di Meissen, coralli di Torre del Greco, cristalli di Daum. Tutti riposti in una cassapanca, che appare tra le pagine come un ventre misterioso. Annetta  vive per lei, vorrebbe una parola affettuosa, una dolcezza, un frammento amoroso, ma l’attesa sembra essere inutile. La circonda un mondo ostile, di persone alte e gelide. La più terribile è la governante Clara Bigi, che sottomette Sofia e arriva a decidere ogni cosa in  casa Baldini.
«Ogni anno arriva una marea di libri – ha detto Gemma Cestari – e abbiamo notato, leggendoli, che c’è tutto un filone femminile che continua ad interrogarsi sulla madre. È una cosa sulla quale stiamo riflettendo e sulla quale dovremo ragionare in maniera più analitica; è come se le donne delle ultime generazioni, sinora concentrate, in letteratura, su soprusi, guerre, violenze, avessero iniziato a capire che la linea che può veramente raccontare qualcosa di sé a se stesse, è proprio il rapporto con la madre».

una minima infelicità premio sila

Quella di Carmen Verde è una scrittura di accostamenti, di fatti dolci e crudeli, con una narrazione immediata, almeno apparentemente, e un afflato da opera classica che crepita tra le righe. Ci sono espliciti riferimenti a romanzi cult, a “Bartleby lo scrivano” di Herman Melville ma soprattutto al protagonista del racconto di Nathanidel Hawthorne, mister “Wakefield”, che parte per pochi giorni ma che in verità non farà più ritorno a casa, perché sceglie di vivere in segreto, affacciato alla finestra di fronte. È l’attenzione ai dettagli, agli oggetti, alle immagini, alle fotografie che sfoglia Annetta, a connettere il lettore alla storia. «A me è parso che raccontare per dettagli avesse qualcosa di profondamente letterario. Quando muore suo figlio, Stéfane Mallarmé scrive 202 frammenti – spiega l’autrice, – lui che avrebbe potuto creare un poema. Io penso che nel frammento ci sia una verità esistenziale. E così ho provato ad accostare la situazione dell’infelicità alle piccole cose, seguendo il procedimento della memoria, perché è Annetta che ricorda la sua storia, sin dall’infanzia».
Per Elena Giorgiana Mirabelli è un romanzo «con tanti livelli di lettura, alcuni profondissimi, che comprendi soltanto in un secondo momento, che rileggendo risuonano diversamente». Ha poi tracciato una mappa delle parole del romanzo: «inquadratura, dettagli, piccolezza, linea femminile, corpo, perché è un libro dove i corpi parlano, sono infelici anche loro». L’infelicità, infatti, non è una sola. E soprattutto, dice al pubblico l’autrice del romanzo, con una grazia che la contraddistingue sin dalla voce «non è uguale per tutti, perché ognuno di noi è diversissimo nell’infelicità. L’infelicità è singolare». Ognuno la lega a una situazione o anche a una semplice immagine o a una parola che non avrebbe voluto udire.

«Le atmosfere di questo libro – ha detto ancora Gemma Cestari – mi hanno riportato alla narrativa della seconda metà del Novecento, di Giorgio Bassani, Piero Chiara, Goffredo Parise, perché c’è un altro protagonista, oltre a questa famiglia infelice: il giudizio della comunità di provincia; così pesante, rispetto a dinamiche apparentemente intime, che a un certo punto entra fisicamente nel romanzo attraverso la cattivissima domestica che governa le vite dei Baldini». La soglia dell’incredibile è che sono loro stessi a  non ribellarsi, a sottomettersi. È un romanzo di persone fragili, come Sofia, che non riesce ad amare, come Adelina, la nonna di Annetta, che per il suo carattere bizzarro paga lo scotto dell’internamento e non a caso crepita tra le righe un altro riferimento letterario, questa volta a Janet Frame, l’autrice di “Un  angelo alla mia tavola”, rinchiusa in manicomio senza essere pazza. Forse meno fragile rispetto a tutti gli altri, è proprio la protagonista, nel suo metro e pochi centimetri, scandalosamente minuta, sorprendentemente sopravvissuta. (redazione@corrierecal.it)

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