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La morte del boss Lanzino di Cosenza. «In mezzo a noi c’è chi si schiera con la mafia» – VIDEO

Paride Leporace analizza quanto è emerso nelle ultime ore: una valanga di commenti, sui social, di solidarietà per il boss morto al 41bis

Pubblicato il: 27/03/2024 – 13:36
La morte del boss Lanzino di Cosenza. «In mezzo a noi c’è chi si schiera con la mafia» – VIDEO

COSENZA «Una puntata di “Quarta parete” che dedichiamo alla mafia, in questi giorni caldi baresi, con Emiliano ha fatto un gran trambusto, ma si parla di meno di due vigilesse licenziate a Bari perché avevano elevato una contravvenzione a un signore che era passato con il rosso ma le aveva insultate, con le vigilesse hanno ben pensato di rivolgersi ad un boss per farlo redarguire. Notizia piccola ma abbastanza significativa di come la mafia sia in mezzo a noi nelle nostre città».
Inizia da questo spunto di attualità la nuova puntata di “Quarta Parete”, lo spazio curato dal giornalista Paride Leporace, in onda ogni mercoledì su L’altro Corriere Tv. Un preambolo per parlare di Cosenza, spiega Leporace, «città un tempo definita “babba”, senza mafia, e invece dove la mafia c’è. Abbiamo appreso nelle scorse ore dalle cronache che Ettore Lanzino ritenuto il boss di Cosenza all’età di 69 anni, in gravi condizioni, è morto al 41bis, in una struttura ospedaliera carceraria a Parma».
«Questa notizia locale appena è arrivata sui social divulgata dagli organi di informazione ha determinato una situazione che merita un commento. Circa un migliaio di persone hanno espresso condoglianze e vicinanza allo scomparso. I social sono lo specchio della società e quindi Ettore Lanzino ai più noti come Ettaruzzo, aveva un suo contesto di riferimento. In quelle mille persone va detto troviamo anche persone che magari l’hanno conosciuto, un commento in particolare mi ha colpito, quello che dice “ci siamo frequentati da ragazzi poi abbiamo preso strade diverse”, ci sta. Ma la gran parte che si riferisce alla mafia anche a Cosenza, ne vive e quindi che ha vissuto in maniera positiva questa persona». «Da qui vediamo queste mille persone che esprimono solidarietà e vicinanza agli usi e ai costumi di questo capo mafioso, perché tale era».

La storia di Lanzino

Ettore Lanzino viene dal centro storico, dal quartiere Timpone, «da non confondere con quello di Portapiana – spiega Leporace – ed è qui che nasce l’ascesa di un nucleo di ragazzi, di giovani che come dirà Franco Pino, altro boss di riferimento di Lanzino all’epoca “ci puzzavamo dalla fame”, nel senso che erano molto poveri e quindi pistole in pugno partono all’assalto della città e in forme abbastanza variegate la conquisteranno, a partire dal primo atto clamoroso che sarà la celebre uccisione del capo della vecchia mafia che era “Zorro”». «Nessuna storia della ‘ndrangheta, invece, troverete gli esordi di questi ragazzi in particolare quello di Lanzino. Era d’estate e per un pretesto legato ai pullman che portavano i bagnanti al mare a Paola, nasce una grande rissa a colpi di pali di ombrellone che coinvolge anche numerose donne e per diversi giorni il centro storico sarà in preda a una guerra tra bande che vedrà uno dei fratelli Lanzino colpire una donnina del quartiere coinvolta in queste vicende». «Da quell’estate calda si passerà a vari livelli, varie guerre di mafia. Franco Pino con i suoi luogotenenti quale era Lanzino, cominceranno ad arruolare tanti ragazzi del centro storico dei quartieri popolari. Molti faranno una bruttissima fine, come quelli del quartiere proprio di Lanzino ci sono storie ormai che sono state lasciate».

L’ascesa e la latitanza

«Cos’era quella mafia? Arlacchi disse che “erano dei gangster”, probabilmente invece è stata una macchia imprenditrice che non voleva stare ai margini della società, non voleva vivere in condizioni. Ettore Lanzino, prima di diventare capo, aveva anche un fratello, un magistrato rivelerà che aveva avuto anche contatti epistolari con Cutolo, il fondatore della “nuova camorra organizzata” che morirà al carcere. Lanzino nel corso del tempo diventerà un capo, un capo assoluto, un boss di parola che cercava di evitare il sangue, ne abbiamo testimonianza. Quando il vecchio Tonino Sena deve essere eliminato, Lanzino si oppone a questo omicidio però una sua permanenza in carcere permetterà ad altri di uccidere. Era uno che sapeva amministrare il potere. Un boss». «Sicuramente dobbiamo richiamare il fatto che, dopo le rivelazioni dei pentiti, quando le sentenze cominciano a raggiungerlo, lui per ben 4 anni è riusciti ad essere latitante. Non sono i decenni dei grandi capi di Cosa Nostra ma quattro anni a stare nella tua città e impiantarti a Rende dice e racconta molte cose. Non tutto sappiamo, ma sappiamo che c’erano dei carabinieri infedeli che poi sono stati scoperti mentre la parte buona dell’arma riuscirà a prendere Lanzino, a portarlo ai processi e a farlo stare in condizioni di detenuto al 41bis».

La riflessione

«Lanzino fu un detenuto modello – racconta ancora Leporace – anche in questo tipo di carceri e fece le sue scelte, dall’interno del carcere non credo che avesse più potere, altri equilibri si determinarono nella nuova criminalità cosentina. C’è da dire che non è oggi né in un passato recente coinvolta in vicende di mafia. Alcuni suoi parenti sono delle degnissime persone, e i suoi mi sembra quattro figli non hanno assolutamente seguito le orme del padre e in questo c’è da vedere una razionalità criminale di chi, per i suoi discendenti, aveva scelto e avuto un percorso alternativo». «Al momento in cui registriamo questa puntata sono annunciati dei funerali pubblici, a quanto pare in una chiesa abbastanza grande. Personalmente, anche se so di essere in minoranza rispetto a quello che è il dibattito pubblico, ritengo che ognuno abbia diritto ad essere ricordato nel punto di morte da chi lo ritiene in modo pubblico. Da qualche tempo e in molte aree soprattutto della Calabria questi funerali vengono vietati. È un tema».
Ciò non toglie, quello che abbiamo voluto sollevare, «è che in mezzo a noi c’è una parte di città, di società a vario livello, che si sente schierata con la mafia e quindi vede nella figura che per cinquant’anni ha attraversato la città di Cosenza, quella di Ettore Lanzino, di Ettaruzzo, come uno che stava loro a cuore perché forse gli ha favori, ha dato loro un lavoro». 
«La riflessione finale: è sempre più assodato che i boss o muoiono al 41bis, un tempo venivano uccisi, gli omicidi sono in diminuzione anche se ogni tanto appaiono, sicuramente non è una carriera dove un giovane può fare riferimento. Nella città dei molti pentiti, forse troppi, Ettore Lanzino la sua strada l’ha perseguita dall’inizio fino alla fine».

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