Anni Settanta nati da un fracasso enorme, definiti “anni di piombo” ma in effetti anni di sogno e piacere per prendere in mano i propri destini credendo nell’uomo e nella giustizia sociale. La Calabria ne fu molto partecipe in diverse sue aree geografiche. Conosco e temo l’effetto “combattenti e reduci” ma da indagatore di materia l’effetto conoscenza ha un suo valore, soprattutto quando saputo adoperare.
Preambolo necessario per segnalare uno spettacolo teatrale, una recente polemica giornalistica di alto tenore e un libro di elevata fattura segnati da un evidente filo rosso.
Ho finalmente visto lo straordinario spettacolo “Via del Popolo” di Scena Verticale recuperandone la visione a Pagani in Campania, dove a fine spettacolo ad attendere l’interprete e regista Saverio La Ruina c’era una piccola folla come accade in certi concerti.
La pièce lodata dalla critica e insignita di premio Ubu per qualità di scrittura in forma di monologo racconta in epica bassa le trasformazioni di una via di Castrovillari attraverso la biografia dell’autore. Frasi dialettali comprensibili e montaggio di situazioni incantano il pubblico sulla storia della strada che vede il padre contadino aprire un bar offrendo molte riflessioni e risate a denti stretti. Ho avuto un sussulto contestuale a metà della rappresentazione quando La Ruina racconta della venuta del Living Theatre a Castrovillari con Julian Beck in testa, massima espressione del teatro guerriglia internazionale recitato per le strade in quegli anni. Anch’io, a soli 14 anni, vissi quell’esperienza nello stesso periodo per le strade di Cosenza, quando l’ensamble anarcopacifista fu chiamato dall’assessore Manacorda. Non ricordavo dell’incursione anche a Castrovillari, che sicuramente ha avuto una semina sulla nascita di “Scena verticale”.
Saverio mette in scena anche la sede del Msi, di proprietà del padre, e fittata ai “fascisti”, nascosta ai suoi compagni di manifestazioni con ilare realismo. Sul palcoscenico passa il vento anche della sconfitta e della vittoria mentre la musica di “Hasta siempre Comandante” in forma antiretorica suscita attenzione verso le zappe del popolo che non dissodano più la terra e dell’oggi che ha spento le luci di ogni Via del Popolo.
Giuliano Santoro è, invece, cronista politico del Manifesto, tra i primi in Italia a cogliere la portata del grillismo agli albori. Cosentino per formazione, figlio d’arte di Annarosa Macrì, padre reggino, Santoro ha una passione sfegatata militante per i Clash, ed ha preso la palla al balzo con la prima reunion italiana dei Cccp a Bologna, dove si annunciano contestazioni per il costo del biglietto, per scrivere un parallelo tra la celebre esibizione del gruppo di Joe Strummer nel 1980 in piazza Maggiore e quella prossima ventura di Ferretti e compagni.
Articolo di filologia e ricostruzione eccellente sul valore politico che ebbe nella Disneyland del Pci italiano quel tentativo di recuperare gli untorelli bolognesi del 1977 che avevano contestato armi e creatività in mano il “produci, consuma crepa” dei berlingueriani facendo arrivare a via Zamboni i carri armati di Cossiga. Santoro non sbaglia nulla a partire dall’organizzazione di Mauro Felicori, testa operativa della rete del Pci in quel 1980 e oggi assessore alla cultura di Bonaccini in quota renziana. Ma c’è dell’altro. Perché Santoro, giornalista molto documentato, è andato a pescare una cronaca dell’Unità dell’epoca di un giovanissimo Michela Serra che demoliva tesi movimentista con musica annessa. L’articolo del Manifesto è finito sotto il naso della moglie del celebre giornalista che divertita ha domandato al marito “Ma che hai scritto nel 1980 sul concerto dei Clash a Bologna?”. Serra non si è lasciato sfuggire la questione ed ha redatto una risposta di appartenenza culturale apparsa sulla sua newsletter “Ok Boomer”. Una polemica come quelle da anni Settanta quando Unità e Lotta Continua si contendevano il verbo della verità.
Chiude il cerchio con raggio rosso uno splendido romanzo del reggino Fabio Cuzzola, “Uccidete il Dj. Il Settantasette in riva allo Stretto”. (Derive e Approdi, euro 12). Cuzzola è nato dopo quel periodo, ma è più di un cultore della materia. A lui si deve il merito di aver sollevato l’oblio della vicenda dei cinque anarchici calabresi morti in circostanze misteriose negli intrecci legati alla strage di Piazza Fontana, ha inoltre pubblicato uno degli studi più rigorosi sulla Rivolta di Reggio Calabria insieme all’attività romanzesca collettiva dei Lou Palanca.
L’ultimo titolo, scritto in forma scorrevole per 90 pagine, è una sorta di radiodramma polifonico sostenuto da una possente colonna sonora d’epoca. Fatti storici realmente accaduti vengono plasmati in un noir destrutturato che restituisce un’epoca su un parallelo complicato, quello tra Reggio e Messina (ma ci sono anche la Grecia dei Colonnelli, l’Africa, Napoli) in un momento che i misteri si contaminano e si contrastano con la passione giovanile del tempo nuovo. Un innovativo negozio di dischi con vinili che arrivano da tutto il mondo (i millennial ricordino che Internet non esisteva) sta al centro della scena tra ‘ndranghetisti e poteri forti. Le radio libere trasmettono “Rebel” di John Miles, i fuorisede greci sono fascisti ma non manca il rivoluzionario anarchico ellenico che va a fare l’avvocato democratico dalla parte giusta. Due dj saranno uccisi, come accadde nella realtà senza nessun colpevole accertato. Compaiono le malefatte di Don Stilo, il prete artefice dei diplomifici democristiani e delle compromissioni imbarazzanti. Protagonista la Calabria sempre debole con i potenti. Uno spaccato d’epoca con Pianca bomber della Reggina, Max Bianchi della Viola basket e il passaggio dal negozio dei dischi di Marcello Fiasconaro, rugbysta e indimenticabile primatista mondiale degli 800. Il Berimbau è un pianeta giovanile di chi la vita l’aveva pensata diversamente e non dietro una scrivania campando sui consumi culturali e sulle tendenze del personale che era ancora politico. I matti liberati per le strade e la morte di Francisco Franco, che qualcuno confonde con Ciccio Franco perché dove pigia il tasto Cuzzola la Rivolta di Reggio Calabria c’è sempre a ricordarci che quella non fu una storia di periferia ma la più grande ribellione di massa avvenuta in Europa a quel tempo. Passarono Freda, Borghese e poi venne la Santa, pianta che ancora oggi prospera in eleganti attici appartati.
Il tramonto sullo Stretto da Punta Pellaro, la Jonica da attraversare con un treno su un binario unico e i tanti richiami alla Magna Grecia sono gli scenari di fondo di un periodo che anche a Reggio, città di misteri e di retrivi conservatori spesso pericolosi, sopì desideri e riempì le strade, le spiagge, e i locali di ballo e di sballo. Leggere il romanzo è una piacevole area confort per chi ama queste suggestioni, qualunque età egli abbia. Alla fine, però, come cantava all’epoca Claudio Lolli: “Disoccupate le strade dai sogni per contenerli in un modo migliore, possiamo fornirvi fotocopie d’assegno, un portamonete, un falso diploma, una ventiquattrore”. (redazione@corrierecal.it)
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