VIBO VALENTIA «Uno dei settori più sensibili in tutti i luoghi dove imperversa la criminalità organizzata è quello degli istituti di credito, e ci sono degli istituti, quasi sempre quelli di credito cooperativo, che sono più vicini al territorio, che creano dei problemi. Abbiamo svolto delle indagini, in passato, che sono state al confine tra la procura ordinaria e la Direzione distrettuale antimafia, anche perché spesso negli istituti di credito chi non può avere credito in modo legale viene indirizzato verso i circuiti usurari». Nell’audizione della Commissione parlamentare antimafia, risalente all’ottobre del 2020 e ora desecretata, emergono le analisi effettuate dal procuratore di Vibo Valentia, Camillo Falvo. È lui a ricostruire il quadro generale del territorio Vibonese, ripercorrendo le criticità più importanti lungo il filo sui cui scorrono gli interessi della criminalità organizzata e dei “colletti bianchi”. Uno spaccato ormai noto, ma certo non meno inquietante.
A proposito degli istituti di credito, infatti, il procuratore Falvo spiega che sono state condotte delle indagini «che purtroppo però si sono arenate perché ci sono stati dei problemi sempre per via delle difficoltà ad operare». Il problema si è creato in procura ordinaria «che si occupava di questa indagine sulla Banca di credito cooperativo di Maierato mandata poi alla Direzione distrettuale antimafia – spiega Falvo – e non essendoci infatti l’aggravante o, quantomeno, non emergeva dagli atti, le indagini in ordinaria erano scadute e quindi si è potuto fare poco».
Nel corso dell’audizione, Falvo pone l’accento su una vicenda tanto emblematica quanto preoccupante, legata ai procedimenti giudiziari. «Una delle indagini più importanti che è stata trattata a Vibo è quella che venne chiamata “Decollo Money”» dice il procuratore «per un periodo me ne sono occupato prima da gip, poi da pubblico ministero. L’indagine riguardava l’intenzione di un broker della droga, Barbieri poi è stato ucciso per conto dei Mancuso, di acquistare la “Banca di San Marino”. In quel processo, oltre a tutta una serie di attività di narcotraffico, c’era anche questa parte con imputati che erano stati arrestati, l’ex presidente della Banca di San Marino, il direttore della Banca di San Marino e altri funzionari, per la parte relativa ai colletti bianchi». E quel processo «va avanti da una decina d’anni e ancora adesso, ogni volta che deve essere trattato, c’è un balletto di collegi».
E ancora: «Avevamo le prove della gente che andava con i borsoni con gli euro pieni di muffa – spiega Falvo – ad acquistare la Banca di San Marino. Ecco, questo è il livello. Quel processo, che in qualsiasi altro tribunale sarebbe trattato come il processo del secolo, noi lo trattiamo come l’ultimo dei processi perché non riusciamo a farvi fronte».
Altra emergenza sottolineata in commissione da Falvo è legata alla massoneria. «Questo è un nostro cavallo di battaglia, mio in particolare perché le avevo fatte anche a Messina le indagini sulla massoneria deviata. Qui a Vibo Valentia questo fenomeno è rilevantissimo, quindi dove non arriva la criminalità organizzata, in quella che dovrebbe essere la parte buona, arriva la massoneria, quella legittima, quella illegittima e quella deviata purtroppo. Questo determina un grande scoramento anche nella parte buona della società vibonese».
Infine, il procuratore di Vibo Valentia si concentra su quella che definisce una «tradizione nefasta» dell’attività della Direzione distrettuale antimafia sul territorio Vibonese, nel periodo soprattutto precedente al 2011/2012. «Negli anni in cui si formava l’antimafia – ha spiegato in audizione – per dieci anni abbiamo avuto un sostituto che purtroppo non andava d’accordo con l’allora procuratore di Vibo, quindi quello che doveva essere trattato dall’antimafia non veniva fatto».
«Parlo con cognizione diretta perché venni applicato a Vibo, da magistrato che lavorava a Rovigo, per un anno e mezzo come sostituto e vedevo che tutto quello che in ogni altro luogo veniva trattato come ‘ndrangheta – racconta Falvo – qui non veniva trattato come tale perché il procuratore, questo è durato dieci anni, diceva che era inutile mandare il lavoro alla procura distrettuale dove non si faceva nulla. Se l’indagine restava alla procura di Vibo, almeno qualcosa si poteva fare. Quindi si sono accavallate tutta una serie di situazioni che hanno determinato quello che è successo oggi».
«Per fortuna la situazione attuale è diversa – dice infine Falvo – e abbiamo una Direzione distrettuale antimafia di livello altissimo, penso il più alto in Italia. Non ci sono altre Dda come quella di Catanzaro per la qualità dei colleghi, per l’impegno del procuratore e anche per le forze dell’ordine che però, qui a Vibo, lavorano solo con la Dda. Io non toglierò mai un uomo alla Dda per fare attività ordinaria perché so che cosa significa fare la Dda su Vibo. Se però non dotiamo le forze dell’ordine di personale adeguato, non so cosa si potrà fare». (g.curcio@corrierecal.it)
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