CATANZARO Confermato nella sostanza l’impianto accusatorio della Distrettuale antimafia di Catanzaro e il verdetto emesso, in primo grado, contro gli imputati nel processo “Rimpiazzo”, nato dall’omonima inchiesta contro la cosca dei Piscopisani, nome che deriva dal quartiere di Vibo, Piscopio, dal quale il gruppo criminale è originario. Nella sentenza emessa oggi dai giudici della Corte d’Appello di Catanzaro, infatti, 9 condanne sono state ritoccate mentre sono due gli assolti, Giuseppe Lo Giudice e Andrea Ippolito Fortuna, precedente condannati rispettivamente a 6 anni e 8 anni di carcere.
Le accuse contestate sono associazione mafiosa, usura, estorsione, danneggiamento, illeciti in materia di armi, intestazione fittizia di beni e spaccio di droga. I magistrati della Dda di Catanzaro – rappresentati in aula dal pm Andrea Mancuso – e gli investigatori della Polizia hanno ricostruito durante l’indagine circa 26 estorsioni, 9 danneggiamenti e 32 episodi di spaccio. Secondo l’accusa, i Piscopisani puntavano a scalzare i potenti Mancuso di Limbadi dal capoluogo vibonese e dalle frazioni marine sfruttando il fatto che molti rappresentati dei Mancuso fossero in carcere. Inizialmente i Piscopisani sceglievano le vittime delle estorsioni e delle intimidazioni individuandole tra coloro che sapevano essere sottoposti al controllo dei Mancuso.
Nel collegio difensivo gli avvocati Diego Brancia, Sergio Rotundo, Francesco Calabrese, Giuseppe Di Renzo, Giuseppe Cutrullà, Vincenzo Sorgiovanni, Giuseppe Gervasi, Giovanni Vecchio, Francesco Gambardella, Leopoldo Marchese, Francesco Sabatino, Gregorio Viscomi, Guido Contestabile, Rosa Giorno, Francesco Muzzopappa, Walter Franzè e Salvatore Staiano.
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