COSENZA Magistrato cosentino con una lunga esperienza alle spalle nelle procure di Cosenza, Paola e nella Dda ed ancora nella procura generale ed a Rossano. Eugenio Facciolla ha lasciato la guida della procura di Castrovillari, prima del trasferimento forzato a Potenza, con funzioni di giudice civile. Torna a Cosenza per la presentazione del libro di Saverio di Giorno e l’occasione è ghiotta per ripercorrere alcune delle inchieste condotte contro la mala cosentina. Pm nel primo grado del maxi processo alla ‘ndrangheta bruzia scaturito dall’inchiesta denominata “Garden“, Facciolla ha coordinato anche inchieste non di mafia. Su tutte quella relativa al caso dell’Istituto Papa Giovanni di Serra d’Aiello.
«Ho cercato di lavorare sempre con forze dell’ordine che fossero affidabili, d’elite, in una delle ultime occasioni un comandante della Guardia di Finanza venne nel mio ufficio e mi disse “questa indagine la devo fare con due o tre uomini, quelli di cui mi fido”». Il magistrato sottolinea in più passaggi – nel corso dei suoi interventi – la presenza di un clima particolarmente rovente che spinge chi indaga a trincerarsi nel silenzio ed a circondarsi di uomini fidati. «C’è chi si gira dall’altra parte e fa carriera, io non mi sono mai girato», tuona Facciolla. Poco distante, l’ex magistrato Luigi De Magistris ascolta con attenzione. Al Corriere della Calabria racconterà di lunghe file dietro la sua porta quando prestava servizio alla procura di Catanzaro (leggi qui).
Il magistrato riavvolge il nastro dei ricordi, la mente torna al periodo vissuto nella Dda e alla lotta alla ‘ndrangheta. Una mala, quella bruzia, in quegli anni «caratterizzata da business legati principalmente alla prostituzione e alla usura». Cosenza, aggiunge, «ancora oggi si regge su un finto benessere. Si costruiscono palazzi e si comprano appartamenti, ma non si capisce chi li abita. C’è molto benessere apparente e questo ha sempre caratterizzato la città dei bruzi». Quella «criminalità bastarda» si è evoluta, è cambiata. «A Cosenza si uccideva in pieno giorno, nel centro cittadino, perché c’era consapevolezza e certezza di impunità». Questo è un passaggio importante, Facciolla lo sottolinea più volte: «non c’era consapevolezza del silenzio, ma della impunità».
Uno dei delitti compiuti in una delle arterie principali della città, e non lontano da occhi indiscreti è quello di Sergio Cosmai «ucciso dopo aver lasciato la bimba a scuola». «Quella vecchia generazione di criminalità organizzata non esiste più – continua – oggi abbiamo una criminalità diversa. Quando leggo alcuni nomi e accostate talune qualifiche mafiose resto sorpreso e mi chiedo o la mafia è caduta in basso o siamo noi che romanziamo le nostre valutazioni».
Nel suo libro, Saverio di Giorno, ripercorre l’evoluzione e la storia della mala cosentina anche attraverso le dichiarazioni dell’ex collaboratore di giustizia Franco Garofalo. «Garofalo ripercorre tre guerre di mafia che hanno interessato la città, offre la sua ricostruzione dall’interno delle dinamiche criminali. Era quello che più degli altri aveva i rapporti anche con la pubblica amministrazione, interagiva con appartenenti alle istituzioni. Ci sono state sentenze definitive che hanno acclarato questo tipo di rapporti», dice l’ex procuratore di Castrovillari al Corriere della Calabria. Garofalo «si relazionava con la politica, posti di lavoro in cambio di voti e prebende e altre utilità in cambio di disponibilità, la ritengo una ricostruzione particolarmente interessante, fondata su processi e su sentenze che sono definitive e quindi da questo punto di vista è quanto mai rassicurante quello che riferisce». Secondo Facciolla, il vero interrogativo è un altro. L’autore del libro pone al lettore un interrogativo, chiede di domandarsi perché questa città tollera. Tutti sanno determinate cose, tutti conoscono le dinamiche, però nessuno, più di tanto, riesce a spingersi». Gli attori e il contesto, rispetto all’era segnata dalle scorribande della “mala bastarda”, sono cambiati? «Gli attori non so se sono cambiati, mi guardo intorno e vedo troppe facce sempre uguali: un po’ in tutti i gangli dell’amministrazione e delle istituzioni locali. Dovrebbe esserci una rivolta dal basso, comunque una sorta di movimento che parta dal basso e porti la gente ad affidarsi ancora di più alle istituzioni». «C’è un problema di credibilità della magistratura – chiosa Facciolla – un problema di credibilità delle istituzioni, da queste parti la gente non si rivolge alla magistratura, perché c’è il sistema alternativo per risolvere i conflitti e i problemi. Questo purtroppo è quello che continua ad attanagliarci». (f.benincasa@corrierecal.it)
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