LAMEZIA TERME Un muro di omertà che sta per crollare. Dietro, segreti, affari nascosti e legami ultradecennali. La scelta di saltare il fosso e di collaborare con la giustizia di Francesco Schiavone, 70 anni, noto come “Sandokan” apre scenari finora solo immaginati. Schiavone, infatti, è stato il fondatore della cosca dei Casalesi, l’uomo che spodestò Antonio Bardellino – ucciso in Brasile e il cui corpo non fu mai più ritrovato – e ridisegnò la mappa criminale del clan, seminando il terrore nell’agro aversano tra gli anni ’80 e ’90. Le sue rivelazioni potrebbero aiutare gli inquirenti non solo a ricostruire un pezzo di storia della camorra, individuando mandanti e autori di omicidi e agguati, ma anche a capire gli assetti attuali dei Casalesi.
Nel frattempo, il suo primo figlio, Nicola, che aveva “ereditato” le redini del clan, arrestato nel 2018, si era già pentito. Con lui aveva accettato il programma di protezione anche la moglie, Giuseppina Nappa. A novembre del 2021 anche l’altro figlio, Walter, ha deciso di collaborare con la giustizia. Altri due, Carmine ed Emanuele sono in carcere. Il pentimento dell’ultimo capo clan dei Casalesi crolla innanzitutto il “mito” del camorrista tutto d’un pezzo, ma li lascia soprattutto senza “testa”.
Fatta a pezzi da inchieste e pentimenti che si sono succeduti negli anni, quella dei Casalesi è la storia di una cosca che è stata capace di ritagliarsi un ruolo da assoluta protagonista nelle scena criminale, riuscendo anche a costruire rapporti solidi e business fruttuosi con altre consorterie criminali fuori dai confini campani, le cosche di Cosa Nostra e alcune delle più influenti famiglie della ‘ndrangheta calabrese.
Tracce sempre poco limpide, mai ricostruite fino in fondo, ma più volte rimarcate negli anni, soprattutto da inchieste e collaboratori di giustizia. Tra i primi c’è Francesco Onorato, pentitosi nel 1996 perché non si riconosceva più in “Cosa Nostra” nella fase stragista. Le sue dichiarazioni hanno arricchito il processo “’ndrangheta stragista” nato dall’inchiesta della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Onorato aveva quindi fatto parte del gruppo di fuoco della Commissione, che aveva tra i componenti anche i più giovani del gruppo, i fratelli Graviano. In aula, il pm aveva poi espressamente chiesto al pentito di riferire su eventuali legami con altre consorterie criminali.
«(…) in Cosa Nostra avevamo in tutte le regioni quasi d’Italia, c’era qualche regione magari scoperta, c’era sempre un referente… in Puglia avevamo la famiglia… a Brindisi si chiamava famiglia di cosa nostra e come referente avevamo Peppino “‘u brindisino”… in Campania avevamo a Marano, avevamo i Casalesi pure, che facevano parte di cosa nostra… Poi, in Calabria, c’era la famiglia di Paolo De Stefano, a Reggio Calabria, che erano tutti “Cosa nostra” i De Stefano. Poi, quando hanno ammazzato Paolo De Stefano, sono subentrati i Piromalli, sono subentrati i Mancuso con Luigi Mancuso…». Onorato racconta di aver costruito una villa a Mondello per i Graviano. E, durante i lavori, erano frequenti le conversazioni in cui «si parlava dei calabresi, di cosa nostra, dei pugliesi, non solo di Piromalli oppure dei Mancuso, ma anche per quanto riguardava i Casalesi, per quanto riguardava tutti…». Confessioni che, a detta di Onorato, arrivavano direttamente da Giuseppe Graviano. «(…) diciamo che si esternava un pochettino fuori da Palermo, sia con i Mancuso, sia con i Graviano… sia con i Piromalli, sia anche con i Casalesi, questi rapporti li aveva presi lui, che erano ragazzi che salivano, scendevano…». Francesco Onorato, dunque, parla di legami strettissimi tra le famiglie siciliane, quelle calabresi e i Casalesi. Al punto che, all’occorrenza, gli appartenenti potevano chiedere agli altri qualunque tipo di favore. «(…) quando avevamo un’amicizia oppure avevamo un appoggio, lo esternavamo anche agli altri, per usufruire. Facciamo: “Se hai bisogno a Milano, fammelo sapere, casomai non ci sono problemi, latitanza, cose, abbiamo i Mancuso, abbiamo i Piromalli. Casomai a Napoli c’è i Casalesi, abbiamo…”».
Dei legami “strettissimi” tra consorterie c’è traccia anche nel recente passato. Ancora una volta i clan legati a Cosa nostra, quelli della ‘ndrangheta e i Casalesi sono tra i protagonisti della maxi inchiesta della Dda di Milano “Hydra”, quella per intenderci aveva acceso i riflettori sulla “super-mafia”, un sistema mafioso lombardo costituito da soggetti legati a cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra. Davanti al Riesame, in questi giorni, i pm hanno presentato istanza contro il provvedimento del gip Tommaso Perna che aveva bocciato la ricostruzione accusatoria della Dda del capoluogo lombardo e rigettato la richiesta di custodia cautelare in carcere nei confronti di 79 indagati.
L’attività tecnica degli investigatori ha permesso di individuare, secondo l’accusa, stabili collegamenti tra la criminalità organizzata campana, quella siciliana e quella calabrese, finalizzati in particolare al riciclaggio di denaro ed al narcotraffico. In primo piano la famiglia Moccia di Afragola, il locale di ‘ndrangheta Legnano-Lonate Pozzolo e i Senese di Roma con a capo, in particolare, Michele Senese, il classe ’75 detto “O Pazzo” o “O Picciarell”, «considerato a capo dell’omonimo clan ed in precedenza appartenente ai Moccia nella zona di Afragola, Casoria e Caivano, nonché proprio ai Casalesi». Come ricostruito dagli inquirenti, inoltre, il gruppo Senese «sarebbe attivo in Lombardia attraverso Giancarlo Vestiti» scrivono i pm. «Giancarlo con tutte le famiglie calabresi e… già lui qua è responsabile! (…) un napoletano come responsabile per Sicilia e per Calabria…ma tu stai coglionando? Non è napoletano, quello è di Afragola!» è il contenuto di una intercettazione. «Casal di Principe noi siamo una cosa… proprio una cosa! Ma non da adesso, da 30 anni!» «Capisci tu a Casale… vai là c’è il nome mio… la casa tua uagliò…». «(…) io sono stato coimputato nel 2000 io, Sandokan…». «La famiglia Zagaria con noi com’è? Ultimamente mi sono incazzato e l’ho preso sotto… perché dei nipoti non sapevano che ero, gli ho detto io parto da voi…». In buona sostanza – secondo l’accusa – camorristi legati ai casalesi, pezzi di ‘ndrangheta e di cosa nostra sedevano tutti allo stesso tavolo e si spartivano il territorio e i proventi delle loro attività illecite. Prova ne sono – sempre secondo la Dda – i dialoghi tra Santo Crea e lo stesso Vestiti. Crea sarebbe «espressione della cosca Iamonte, facente parte della Locale di Desio – collegata alla Locale di Melito Porto Salvo – operante nell’ambito del sistema mafioso lombardo con compiti di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni da compiere e delle strategie da adottare per la realizzazione degli scopi illeciti dell’associazione. «(…) voi siete l’epicentro di molti equilibri, per i figlioli, per noi per tutti!» dice Crea a Giancarlo Vestiti. «(…) compà io non è che non lo so lo so… anche di equilibri e di cose che si devono mettere a posto…», risponde.
Tra di legami e affari tra Casalesi e ‘ndrine calabresi si trovano anche lungo l’asse che porta dalla Campania a Crotone. In mezzo l’affare legato alle slot machine. A descriverne i contorni è il collaboratore di giustizia Nicola Femia, considerato capo di un locale di ‘ndrangheta autonomo in Emilia-Romagna – dove si trasferirà nei primi anni 2000 – legato comunque al clan Mazzaferro di Gioiosa Jonica. La sua collaborazione, inaugurata nel 2017, apre ai magistrati antimafia i cassetti di molti affari di ‘Ndrangheta al Nord ma anche sugli affari del clan Megna di Papanice. Femia, infatti, riferisce in un verbale del 2017 «dei rapporti intercorsi con tale Grasso, noleggiatore di videogames proveniente da Napoli, a sua volta concessionario di agenzie da gioco nel Crotonese e legato alla cosca Megna» attraverso un uomo indicato come «il nipote di Mico Megna» con il quale avrebbe condiviso la gestione di una società denominata “Wozzup”. Società che, «per quanto a conoscenza del collaboratore» avrebbe «raggiunto una sorta di monopolio ‘ndranghetistico nella città di Crotone, noleggiando circa un centinaio di slot machine all’interno di bar ed esercizi commerciali della città». Il noleggiatore napoletano è, per i magistrati antimafia, Renato Grasso, amministratore della società “The king of slot”, con sede ad Acerra, ritenuto vicino al clan del Casalesi. (g.curcio@corrierecal.it)
x
x