ROMA «È stato il camorrista che più di ogni altro ha impersonificato il modello di capo del clan dei Casalesi. Nel processo ‘Spartacus’, i collaboratori di giustizia lo hanno sempre indicato come un capo coerente con le regole della camorra, al quale gli affiliati hanno sempre riconosciuto le doti di leader. Il soggetto che, al di sopra di tutti gli altri, impartiva gli ordini che poi venivano eseguiti». Così, in un’intervista a La Repubblica, l’ex procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho descrive Francesco Schiavone detto Sandokan, il boss dei casalesi che ha deciso di pentirsi dopo 26 anni di carcere duro (qui la notizia). De Raho, che iniziò a indagare sui casalesi all’inizio degli anni ’90, è convinto che una collaborazione di Schiavone con la giustizia possa ancora avere senso: «Assolutamente sì, anzi può essere indubbiamente molto rilevante. Francesco Schiavone è colui che conosce i segreti del clan, da quando operava con Antonio Bardellino (il fondatore della cosca sparito nel nulla e, secondo le sentenze, assassinato in Brasile nel 1988, ndr) e poi in tutti gli anni a seguire. Conosce i nomi di chi ha fatto parte della rete di imprenditori che hanno stretto accordi e affari e sa dove è nascosta la cassaforte del clan che non è mai stata trovata». Inoltre «oggi potrebbe lanciare un messaggio potente: potrebbe dire a tutti che far parte della camorra non paga, ma anzi determina un allontanamento dagli affetti, dalla famiglia e da tutto ciò che è davvero importante nella vita di un uomo». (Ansa)
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