LAMEZIA TERME A far suonare il campanello d’allarme è stata la scoperta effettuata dagli uomini della Guardia di Finanza di Reggio Calabria: 150 chili di cocaina all’interno di un container nel Porto di Gioia Tauro. Notizia che non sarebbe sorprendente se non fosse che il carico, questa volta, è stato spedito dalla Cina e non da qualche Paese del Sudamerica. Cinque i borsoni individuati dai militari della GdF posti all’interno del container “MEDU1898793”, il carico sufficiente per alzare il livello di attenzione in riva allo Stretto e negli uffici della Procura di Reggio Calabria.
Già aperto un nuovo canale investigativo che servirà a far luce su una possibile nuova rotta, finora forse sottovalutata, che punta dall’Estremo Oriente all’Italia e allo scalo portuale calabrese, da anni snodo cruciale per le rotte del narcotraffico internazionale. E in attesa che le indagini facciano il loro corso, è sufficiente fare qualche passo indietro per comprendere che l’asse italo-cinese è rovente da molto tempo, con la ‘ndrangheta calabrese a giocare un ruolo decisivo in questo scenario ancora da esplorare fino in fondo.
Basta tornare a maggio del 2023 per una prima importante operazione coordinata dalla Distrettuale antimafia di Bologna. Un blitz anti-ndrangheta condotto dalla Guardia di finanza in sette regioni contro una organizzazione dedita al traffico internazionale di droga. In quella circostanza gli inquirenti avevano accertato «il coinvolgimento di una fitta rete di soggetti di nazionalità cinese dediti, professionalmente e con carattere di sistematicità, al riciclaggio degli ingenti proventi illeciti accumulati dal sodalizio criminale». L’indagine, corposa, aveva acceso i riflettori sul meccanismo dei fei ch’ien ovvero tradotto come «denaro volante», uno dei sistemi minori di trasferimento informale di denaro. Nome di spicco quello del boss della Locride, Giuseppe Romeo detto “Maluferru”, mentre tutto ruotava attorno ad una coppia di cittadini cinesi. Un sistema, quello messo in piedi dal gruppo, tanto complesso quanto semplice: la coppia avrebbe raccolto il denaro in tutt’Italia e gestito le operazioni per il riciclo e per il trasferimento dei soldi dall’Italia al Sudamerica, attraverso la Cina, attraverso una rete di trasferimento di ingenti quantità di denaro contante, prima brevi manu, poi attraverso una lunga catena di bonifici verso aziende in Cina o ad Hong Kong. I meccanismi di ‘compensazione’ facevano il resto, consentendo di recapitare il denaro direttamente ai broker del narcotraffico e ai cartelli sudamericani.
Il coinvolgimento dei “canali cinesi” con le attività legate alla ‘ndrangheta calabrese era emerso anche con l’operazione “Eureka” della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Anche in questo il claim ipotizzabile sarebbe “soldi, droga, riciclo”. Come nel caso di un ingente carico di cocaina distribuito dal gruppo “Fracascia-Nardo-Leuzzi” tra la Piana e la Jonica: seguendo il flusso finanziario, si passa dalla Calabria fino a Roma con una parte dei soldi “in viaggio” verso il Sudamerica attraverso operazioni di pick-up money assicurate da individui cinesi, l’altra parte invece arriva in Belgio, grazie ancora al coinvolgimento di soggetti cinesi. Il cosiddetto pick-up money, per funzionare così bene, presenta dei costi. Secondo gli inquirenti della Distrettuale reggina, infatti, i capitali venivano «trasferiti in Colombia e Panama dalla Calabria o dal Belgio attraverso operazioni garantite da circuiti criminali cinesi, al costo percentuale compreso tra il 14 e il 16% della somma di volta in volta trasferita (solitamente mai inferiore a un milione di euro)» pari quindi 140-160mila euro per ogni milione trasferito in contanti dai cinesi all’estero.
C’è di mezzo un “banchiere” cinese, Zheng Wen Kui, al centro di un altro fiorente business scoperto, questa volta, dagli inquirenti della Dda di Roma nel quartiere dell’Esquilino ad ottobre del 2023, con l’arresto di 33 persone Tutto parte da una borsa pesante, con all’interno mezzo milione di euro, sequestrata nel 2021. Denaro, spiegano gli inquirenti della Capitale, «provento del traffico di sostanze stupefacenti e comunque di attività illecita». Ancora la droga, quindi, e il riciclaggio: i soldi, infatti, sarebbero arrivati a Roma nelle “banche clandestine” di Kui poi all’estero, secondo uno dei metodi utilizzati dalle filiali cinesi per riciclare il denaro. Durante l’inchiesta gli inquirenti erano riusciti a documentare due modus operanti distinti, un prima e un dopo rispetto alla pandemia glocale di Covid-19. Se prima i soldi viaggiavano all’interno delle valigie che arrivavano in Cina attraverso connazionali fidati, dopo sarebbe stato utilizzato (anche in questo caso) il noto denaro volante dei “Fei Ch’ien”.
È più recente il blitz condotto dagli agenti della Polizia di Stato a Castrovillari. Qui, infatti, a gennaio è stato scoperto un narco-laboratorio a conduzione cinese. Delle vere e proprie “serre indoor” quelle individuate nel corso di ben 5 maxi-sequestri in sei mesi, per un totale rinvenuto di una tonnellata di marijuana. Significativi i dettagli emersi dall’inchiesta nata su impulso della Dda di Catanzaro, coordinata dal Questore di Cosenza Giuseppe Cannizzaro e sotto la guida di Giuseppe Zanfini, dirigente del commissariato di Corigliano-Rossano: scoperta una rotta della droga che unisce la Calabria all’Olanda, con i soggetti arrestati che erano riusciti ad intercettare una fetta di mercato lasciata libera dalla criminalità organizzata calabrese. Nei Paesi Bassi – secondo l’inchiesta – i soggetti cinesi arrivavano con i loro carichi di droga e venivano accolti da altri connazionali pronti ad immettere la marijuana sul mercato.
Contanti e soldi “volanti”, carichi di coca e marijuana, ora anche borsoni in arrivo al Porto di Gioia Tauro. Il legame tra esponenti cinesi ancora nell’ombra e uomini legati alla ‘ndrangheta calabrese negli ultimi anni è diventato sempre più stretto e sta emergendo in modo prepotente grazie al grande lavoro investigativo svolto dagli inquirenti. Ma la sensazione è che quella scoperta, finora, sia ancora la punta dell’iceberg. Nell’ultima relazione della Dia, «quella cinese può essere considerata una forma di criminalità etnica molto insidiosa, risultando estremamente difficile da reprimere anche in ragione della impermeabilità verso l’esterno, dell’estrema mobilità nel territorio dei soggetti criminali e delle difficoltà nel reperire affidabili interpreti dei molteplici idiomi con cui si esprimono gli affiliati». Il ricorso a cinesi quali affidabili e discreti traslatori di denaro contante appare «facilitato dall’intenso sviluppo piccolo-imprenditoriale che caratterizza, da alcuni decenni, la comunità presente nell’intero territorio nazionale» scrive ancora la Dia. (g.curcio@corrierecal.it)
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