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La strage di Razzà, l’uccisione dei carabinieri Condello e Caruso e le indagini che svelarono gli interessi dei clan nella Piana

Uccisi nell’aprile del 1977. Avevano interrotto un summit di ‘ndrangheta in cui si stava discutendo di traffici illeciti e spartizione di appalti

Pubblicato il: 03/04/2024 – 6:58
di Mariateresa Ripolo
La strage di Razzà, l’uccisione dei carabinieri Condello e Caruso e le indagini che svelarono gli interessi dei clan nella Piana

REGGIO CALABRIA Avevano interrotto un summit di ‘ndrangheta durante il quale si stava discutendo di traffici illeciti e della spartizione di appalti pubblici. Per questo i carabinieri Stefano Condello e Vincenzo Caruso furono uccisi in quella che viene ricordata come la strage di Razzà, nelle campagne di Taurianova. Un delitto che si è consumato esattamente 47 anni fa, l’1 aprile del 1977, e dopo il quale gli investigatori riuscirono a svelare scenari all’epoca inediti, di una criminalità organizzata capace di intrecci con la politica e di ramificazioni, riuscendo a fare luce sui subappalti del Quinto Centro Siderurgico di Gioia Tauro, su tangenti e investimenti immobiliari che interessavano una delle famiglie più potenti e influenti della Piana, gli Avignone.

La perlustrazione e lo scontro a colpi di arma da fuoco

E’ il primo aprile del 1977. Un venerdì pomeriggio che sulle pagine della Gazzetta del Sud dell’epoca viene descritto come «il venerdì nero che ha dato misura del livello della ferocia nello scontro tra i clan mafiosi».

Intorno alle 14 un’auto del nucleo radiomobile della compagnia dei carabinieri di Taurianova esce in perlustrazione. All’interno ci sono
l’appuntato Stefano Condello, sposato, con due figlie, di Palmi, e Vincenzo Caruso, 27 anni, di Biscemi in provincia di Caltanissetta, sposato da soli sei mesi e in attesa di diventare padre. Con loro anche Pasquale Giacoppo, 24 anni, di Messina. I militari avvistano un’auto, una 126 appartenente a un pregiudicato, Giuseppe Avignone, scappato dall’isola dell’Asinara dove stava scontando il soggiorno obbligato, e decidono di seguirla. Raggiungono la contrada Razzà di Taurianova. Qui notano quattro auto e una vespa parcheggiate sul lato della strada nei pressi della masseria di un pericoloso pregiudicato e decidono di fermarsi. In auto rimane Pasquale Giacoppo, mentre Condello e Caruso escono per perlustrare la zona. Inizia uno scontro a colpi di arma da fuoco durante il quale i due carabinieri vengono raggiunti da una pioggia di colpi di lupara e pistola e vengono uccisi. A morire saranno anche due esponenti criminali, Rocco Avignone, 35 anni, e suo nipote, Vincenzo, 20 anni.
Venti minuti dopo la strage – allertati da Giacoppo – arrivarono i primi carabinieri da Taurianova ma i mafiosi erano riusciti a scappare. «Dieci minuti dopo ho sentito degli spari. Sono accorso ed ho visto un gruppo di uomini, una quindicina, fuggire: a terra, c’erano Condello e Caruso da una parte, i due Avignone dall’altra. Ho sparato anch’io: forse ne ho ferito uno di quelli che scappava», racconterà il terzo carabiniere presente sul posto in quei tragici momenti.

Le indagini e le condanne

Le indagini appurarono che si trattava di un vero e proprio summit di ‘ndrangheta, un vertice della cosca Avignone, egemone sul territorio. A prenderne parte non solo latitanti e pregiudicati ma anche pezzi delle istituzioni, come il sindaco di Canolo e quello di Rosarno. Per la morte di Condello e e Caruso, i componenti del clan vennero condannati a oltre due secoli di carcere dal tribunale di Palmi, di cui trenta per il boss Giuseppe Avignone.

Il coraggio di Condello e Caruso

Stefano Condello e Vincenzo Caruso

Il coraggio e il lavoro svolto dai due militari rimasti uccisi nello scontro a fuoco hanno portato al conferimento della Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Stefano Condello fu insignito della medaglia d’oro al valor militare “alla memoria”, il 27 agosto 1977, con la seguente motivazione: «Capo equipaggio di autoradio, notate alcune autovetture — di cui una appartenente a pericoloso pregiudicato — che sostavano nelle adiacenze di casolare isolato, dopo aver lasciato all’esterno un dipendente carabiniere, vi si introduceva senza esitazione e, affrontato da due malviventi, ingaggiava violenta colluttazione, riuscendo a disarmarli delle pistole che impugnavano. Raggiunto da colpi di fucile da caccia da parte di altri malfattori sopraggiunti, sosteneva, con l’arma in dotazione, cruento scontro a fuoco ferendo gravemente uno degli aggressori. Benché colpito in parti vitali, non desisteva dal suo fermissimo, eroico comportamento, fino a quando, stremato, si accasciava al suolo ove veniva barbaramente finito. Esempio luminoso di attaccamento al dovere spinto fino all’estremo sacrificio».
Vincenzo Caruso fu insignito della medaglia d’oro al valor militare “alla memoria”, il 27 agosto 1977, con la seguente motivazione: «Componente dell’equipaggio di autoradio, lasciato di vigilanza all’esterno di casolare isolato nel quale si era introdotto per controllo un graduato capo servizio, interveniva subito per dare man forte al superiore, fatto segno a numerosi colpi di arma da fuoco da parte di pregiudicati, ingaggiando con essi, con coraggio e consapevole ardimento, un cruento scontro a fuoco. Benché gravemente ferito, persisteva nell’azione uccidendo due malfattori fino a quando, privo di forze, si accasciava, stremato, al suolo, dove veniva barbaramente finito».
(m.ripolo@corrierecal.it)

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