LAMEZIA TERME La foto scattata dall’alto dagli uomini del Nucleo Carabinieri Forestale Parco di Cerchiara di Calabria, fotografa un’ampia area dove insiste un ex complesso industriale circondato da rifiuti e con le coperture del corpo di fabbrica realizzate con lastre di eternit, posto sotto sequestro. Un edificio che insiste a pochi metri dal centro abitato di Cerchiara di Calabria, lungo la Strada provinciale 162, nel cuore del Parco Nazionale del Pollino e che ha interessato una superficie di circa 10.000 metri quadri. Era una marmeria, dismessa da moltissimi anni, abbandonata e invasa da rifiuti speciali pericolosi e dai resti di lastre in amianto in stato avanzato di degrado. Una sentenza di morte per l’ambiente e un pericolo per la salute.
Il blitz dello scorso gennaio, è solo l’ultimo in ordine di tempo effettuato dalle forze dell’ordine. Una operazione che riaccende i riflettori sul rischio amianto. L’Osservatorio nazionale amianto (Ona) segnala la presenza di 40 milioni di tonnellate in un milione di siti distribuiti in tutto il Paese. La cartina della Calabria (nella foto in basso) riporta i dati sulla presenza di edifici con coperture in cemento amianto per alcune località secondo il telerilevamento effettuato nel 2015. Da rilievi che l’Ona Cosenza ha effettuato in alcuni comuni per la redazione del Piano Comunale Amianto risulta mediamente una sottostima variabile dal 20% al 30% dovuta alla procedura.
Sul sito dell’Ona Calabria, invece, è presente una robusta sezione con l’elenco delle segnalazioni relative alla presenza di amianto nella regione. Si va da abitazioni ormai abbandonate, a capannoni, edifici e fabbricati, fino ad un tetto contenente amianto segnalato sulla Statale 16 nel tratto Archi-Reggio Calabria.
La Regione Calabria guidata all’epoca da Mario Oliverio, con un decreto datato 6 dicembre 2016, aveva approvato il Piano Regionale Amianto (Prac). Il documento – si legge nell’oggetto della mission – «si configura come un atto di pianificazione volto a fornire e promuovere strumenti utili per l’eliminazione dell’amianto presente negli ambienti di vita e di lavoro dei cittadini, con lo scopo di promuovere la salvaguardia del benessere delle persone rispetto all’inquinamento potenziale da fibre di amianto».
Come sottolinea il quotidiano Avvenire, «il ritardo e l’abusivismo continuano a esporre al rischio di patologie. L’inalazione di pochissime fibre è sufficiente per lo sviluppo di tumori correlati all’asbesto (amianto)». «La dose scatenante può essere anche straordinariamente piccola», dichiarava nel 1978 il professor Irving Selikoff, fra i primi a stabilire una relazione fra amianto e malattie polmonari. Il tribunale di Cosenza, un anno fa, ha riconosciuto un risarcimento pari ad oltre 600mila euro agli eredi di un dipendente di una società che si era ammalato di cancro ai polmoni (accertato nel 2009), poi deceduto il 2 settembre 2012. Ha utilizzato per anni materiali in amianto «senza alcuna forma di protezione» perché i datori di lavoro non avevano «previsto l’utilizzo di guanti o mascherine». La vittima, inoltre, avrebbe «svolto la sua attività lavorativa in ambienti in cui si liberava una notevole quantità di fibre di amianto», quantità che «era stata sempre oltre la soglia di legge».
Secondo la mappatura del ministero dell’Ambiente del 2019, sarebbero 108mila i siti d’amianto. Tuttavia la Banca Dati Amianto, non consente una copertura omogenea del territorio nazionale. I numeri raccolti necessitano di ulteriori verifiche perché le Regioni «hanno utilizzato nella raccolta dei dati criteri non omogenei». Ad oggi, si legge sul sito del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica sono stati verificati i dati per le seguenti regioni: Valle d’Aosta, Trento e Bolzano, Friuli Venezia – Giulia, Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia – Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia.
Per quanto attiene i siti sottoposti a bonifica, in Calabria si segnala l’area Sin Crotone – Cassano – Cerchiara. Le tre maggiori attività produttive, in esercizio nell’area di Crotone tra gli anni ‘20 e gli anni ‘90, e successivamente dismesse riguardano lo stabilimento ex Pertusola: produzione di zinco attraverso il processo di trattamento termico delle blende (minerali costituiti quasi totalmente da solfuro di zinco); lo stabilimento ex Fosfotec: produzione di acido fosforico; lo stabilimento ex Agricoltura: produzione di fertilizzanti complessi (azotati e fosfatici), acido nitrico, acido solforico e oleum. Parte dei residui di lavorazione prodotti dai tre stabilimenti venivano stoccati nelle aree adiacenti, poste lungo la fascia costiera nelle aree oggi identificate come discariche a mare ex Fosfotec ed ex Pertusola. Negli anni ‘90 le scorie cubilot, residui della produzione dello stabilimento ex Pertusola, sono state miscelate con inerti al fine di ottenere un materiale successivamente utilizzato per la realizzazione di rilevati, sottofondi stradali e piazzali in alcune aree, alcune delle quali ricadenti nel perimetro del Sin, e per la costruzione di manufatti all’interno dello stesso stabilimento e presso la discarica ex Pertusola. Sul sito ufficiale, il ministero sottolinea: «Nei suoli è stata rilevata la presenza di superamenti delle CSC fissate dalla normativa per metalli, in profondità ed in maniera diffusa e di fosforo totale, anche in concentrazioni elevate. Nelle acque di falda è stata rilevata la presenza di metalli, composti inorganici, composti alifatici clorurati cancerogeni e non cancerogeni».
Nelle scorse settimane, il commissario straordinario per la bonifica di Crotone, Emilio Errigo, ha convocato un tavolo tecnico per «fare il punto della situazione sui previsti e approvati interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale nell’area Sin e sul nuovo percorso di servizio alternativo da utilizzare in caso di una eventuale emergenza, che potrebbe verificarsi all’interno del tessuto cittadino durante i lavori delle aree di proprietà Eni Rewind».
(f.benincasa@corrierecal.it)
x
x