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Le cooperative “di comodo” in mano ai clan di ‘ndrangheta e le multinazionali “distratte”

In Commissione parlamentare antimafia i magistrati di Milano tratteggiano il nuovo business delle cosche nel fornire manodopera alle grandi imprese

Pubblicato il: 05/04/2024 – 8:00
Le cooperative “di comodo” in mano ai clan di ‘ndrangheta e le multinazionali “distratte”

ROMA Il «sistematico sfruttamento dei lavoratori attraverso la costituzione di cooperative di comodo» in odore di ‘ndrangheta che poi affittano manodopera alle grandi imprese e alle nuove multinazionali: è il nuovo “business” delle cosche calabresi e delle mafie in generale. A descriverlo in una audizione alla Commissione parlamentare antimafia sono i magistrati della Procura di Milano. In particolare, è il sostituto procuratore Paolo Storari che mette in luce la nuova strategia della ‘ndrangheta come una sorta di agenzia di servizi.

«Quelle cooperative totalmente in mano alle cosche»

Ai commissari dell’Antimafia i pm di Milano spiegano il fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori con al centro le cooperative che offrono alle imprese mano d’opera, «molto spesso in mano alla criminalità organizzata».  Il sostituto Storari osserva: «La nostra attività è iniziata analizzando il fenomeno dei serbatoi di personale che sono tendenzialmente imprese cooperative o Srl che non hanno alcuna struttura e che si mettono ad affittare manodopera a grandi imprese. Non si tratta di un fenomeno nuovo. Se ne occupò già la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni dei lavoratori in Italia, istituita nel 1955, e recentemente un’altra Commissione parlamentare si è concentrata sul fenomeno delle cooperative spurie. Tutto questo potrebbe sembrare cosa al di fuori della competenza della Direzione distrettuale antimafia. Purtroppo non è così, nel senso che abbiamo visto che vi sono numerose occasioni in cui queste cooperative sono totalmente in mano alla criminalità organizzata. Per darvi un’idea del fenomeno – le indagini sono già state oggetto di discovery – vi fornisco i nominativi di imprese che si avvalgono, più o meno consapevolmente, di cooperative in mano alle organizzazioni mafiose perché queste ultime offrono, per evidenti ragioni, prezzi estremamente competitivi sul mercato. Tnt, multinazionale che si occupa di trasporti. La Fiera di Milano: si è attestato che sostanzialmente in Fiera l’attività di smontaggio degli stand era in mano a soggetti che versavano denaro a famiglie mafiose di Pietraperzia. Spumador, società di beveraggio: tutti gli appalti della logistica e dei trasporti erano in mano a organizzazioni ‘ndranghetiste. Schenker, multinazionale tedesca, stessa cosa, aveva rapporti con un soggetto che era stato condannato per 416-bis e che si avvaleva dei parenti come intestatari di queste imprese. Gls, altro colosso della logistica, addirittura aveva come fornitori la famiglia mafiosa dei Maiolo, famiglia mafiosa abbastanza nota a Milano, più volte condannata per fatti di ‘ndrangheta. Recentemente – ricorda il sostituto procuratore di Milano – in un deposito di Esselunga vi erano problemi con le maestranze che si rifiutavano di lavorare, rivendicando migliori condizioni salariali. Sono arrivati i cosiddetti responsabili. I “responsabili” è gente che picchia i lavoratori. Fratelli Beretta, stessa cosa. Naturalmente, non parlo di indagini in corso su altre multinazionali che hanno questo tipo di rapporti, a meno che non si intenda segretare».

Il magistrato Paolo Storari

«La metafora dell’infiltrazione non è più adeguata»

Storari poi aggiunge: «Quali sono i dati di sintesi che emergono da questa attività investigativa? Innanzitutto forse la metafora dell’infiltrazione oggi non è più adeguata. L’infiltrazione dà l’idea di un agente esterno “cattivo” che agisce su un ambiente pulito. No, oggi probabilmente penso di non sbagliarmi dicendo che non è la criminalità mafiosa che conforma e modella la criminalità economica, è la criminalità economica che conforma e modella la criminalità mafiosa. Vale a dire che queste cooperative spurie in mano alla ‘ndrangheta non si comportano tanto da ‘ndranghetisti, si comportano come operatori commerciali illegali con una riserva di violenza. Però questo è importante: ripeto, la mafia non la fa probabilmente da padrone perché si comportano esattamente come altre cooperative spurie. La seconda cosa altrettanto importante che ha comportato una sorta di “rivoluzione” nei modelli sia investigativi sia di prevenzione e repressione è questa: il committente, cioè l’Esselunga della situazione, non sempre è in dolo. Naturalmente banalizzando, l’amministratore delegato di Esselunga non sa di avere la ‘ndrangheta dentro, però il problema è che si disinteressa di chi ha dentro, cioè è mosso solo ed esclusivamente da una logica di costo: “tu mi offri meno, io do l’appalto a te”. Di fronte ad atteggiamenti di questo tipo, per cui si esternalizza parte della propria attività, mettiamo tutta l’attività di logistica e anche l’attività di sorveglianza sui cantieri, nel momento in cui lo si fa, sostanzialmente ci si disinteressa di chi si ha in casa. Quali sono dunque le modalità di reazione più adeguate? Qui – sostiene il magistrato milanese – gli strumenti classici del concorso esterno non reggono più, perché non c’è dolo in quanto non si sa chi si ha in casa. Allora si è iniziato a pensare in un modo diverso. Il problema non è tanto di sanzionare l’amministratore delegato di Esselunga, il committente o chi ha rapporti diretti con questi soggetti. Il problema non è disposizionale, cioè di attribuire una responsabilità a Tizio, ma un problema situazionale, cioè di modificare gli strumenti organizzativi dell’impresa… L’impresa deve essere in grado di adottare moduli organizzativi diretti a evitare non solo che i propri dipendenti commettano reati, ai sensi della legge  231 del 2001, ma anche che i propri fornitori non commettano reati. Presa consapevolezza che non si può andare a controllare 300 multinazionali, perché i mezzi non sono sufficienti, allora si responsabilizza il committente dicendo: “attenzione, tu sei responsabile di chi hai in casa”, e si individuano strumenti per responsabilizzare il committente. L’ottica, ripeto, è cambiata totalmente. Non siamo più interessati – perdonate l’espressione, adesso sto banalizzando – ad attribuire una responsabilità a qualcuno perché se non si cambia il contesto, se non si cambiano i modelli organizzativi, cambia la persona, ma la situazione è destinata inevitabilmente a replicarsi, perché una persona sola non può far nulla».

I nuovi modelli organizzativi

Per Storari «il messaggio che arriva, ed è stato recepito perfettamente dalle grandi imprese, è stato questo: “Attenzione, devi occuparti anche dei tuoi fornitori”. Questo va in linea con una recente proposta dell’Unione europea sulla due diligence sulle catene di valore. L’Unione europea ha in campo una direttiva in cui sostanzialmente si dice che le imprese di una certa dimensione – sopra i 10 mila dipendenti – devono esercitare una due diligence, ovvero un osservatorio sulla catena dei fornitori, per cui non possono più permettersi che i propri fornitori sottopaghino i lavoratori, non possono più permettersi che i loro fornitori non paghino i contributi ai lavoratori, non possono più permettersi che i loro fornitori non paghino l’Iva. Tali imprese sono dotate degli strumenti per effettuare i controlli, attraverso moduli organizzativi che, ripeto, consentono un’ampia selezione dei fornitori. Il messaggio che viene dato ha una certa tecnicalità. Anzitutto le grandi imprese sarebbero tenute a mettere a posto il passato. Mettere a posto il passato in questo caso ha voluto dire che, grazie alla tematica delle fatture soggettivamente inesistenti, nell’ultimo anno e mezzo la Procura di Milano ha recuperato circa – non sulla carta, ma soldi veri – 300-400 milioni di euro da queste multinazionali, che pagano immediatamente, perché si rendono conto di tali problematiche. In secondo luogo, si avrebbe una internalizzazione dei dipendenti. Le catene delle cooperative in Esselunga e in tutte le altre imprese sono scomparse. Oggi… sono state internalizzate 11 mila persone, che vuol dire – e questo francamente è motivo di vanto per la Procura di Milano – 11 mila famiglie sistemate, non costrette a passare ogni due anni da una cooperativa all’altra perché falliscono e si perde il lavoro. Questo è francamente motivo di grande soddisfazione per noi. Come dicevo: si internalizza, si mette a posto il passato pagando, si adotta un modello organizzativo adeguato su cui si possa effettuare un controllo, si sistemano tutte le cooperative e sostanzialmente noi garantiamo, non dico l’impunità, ma un’uscita onorevole. L’idea di fondo in tema di responsabilità delle persone giuridiche – continua il sostituto procuratore di Milano – è che non si può dire a un imprenditore di questo livello: “Tu paghi 100 milioni di euro, spendi 30 milioni di euro per tutta la tua organizzazione che va cambiata, assumi 4 mila persone e poi ti do la sanzione”, perché se no c’è qualcosa che non funziona, e ovviamente bisogna incentivare. Attraverso un uso sapiente delle misure di prevenzione, attraverso decreti di archiviazione 231 su cui Dhl è tipica per queste situazioni, si è garantita una situazione di internalizzazione, rilegalizzazione, ma soprattutto si è garantito che, in determinati contesti, gli ‘ndranghetisti o la criminalità mafiosa vengano confinati nell’ambito delle attività illecite tradizionali, si impedisce, e questo grazie all’opera fattiva della multinazionale, che questo soggetto, il fornitore, continui a operare in questo ambiente perché per Esselunga un milione di appalto dato a soggetti della ‘ndrangheta è nulla – un milione per Esselunga è veramente come 50 euro per le persone normali – ma per la ‘ndrangheta avere un milione di euro, sono soldi veri. Si tratta allora di confinarli attraverso questi strumenti». (c. a.)

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