REGGIO CALABRIA Sognano di ritrovare una loro libertà e dignità, di non dover fuggire e nascondersi. Il cambiamento anagrafico permetterebbe a bambini e ragazzi di iscriversi a scuola, a tante donne di lavorare regolarmente, senza il terrore di poter essere rintracciati da chi «gli ha confiscato la dignità». Usa queste parole don Luigi Ciotti per descrivere la condizione di eterna incertezza che affligge chi vorrebbe per sempre lasciarsi alla spalle la violenza della criminalità organizzata. La strada è quella giusta, il protocollo “Liberi di scegliere” è uno strumento potente per contrastare le mafie e la cultura mafiosa, ma che da solo non è sufficiente. E’ stata l’Università Mediterranea di Reggio Calabria ad ospitare l’evento sul protocollo nato proprio nella città dello Stretto nel 2012 da un’intuizione dell’allora presidente del Tribunale per i minorenni, oggi a Catania, Roberto Di Bella, con l’obiettivo di offrire nuove occasioni di vita a tutti quei minori, e alle loro madri, provenienti da contesti malavitosi sottraendoli da un destino all’apparenza segnato.
Ma adesso è necessario un ulteriore passo in avanti. «E’ fondamentale che non ci si fermi al protocollo. Abbiamo bisogno di un sistema, una cosa semplicissima, un articolo di legge», spiega il presidente di Libera, associazione contro le mafie che ai fini del progetto ha un ruolo cruciale nell’accompagnamento dei giovani e delle loro madri. «Bisogna dare tanta attenzione ai ragazzi e anche alle donne che si stanno ribellando, che non vogliono fare crescere i loro figli in un contesto mafioso, con questo maschilismo e queste forme di violenza. Non è solo il protocollo, ma la richiesta che ci sia un meccanismo legislativo che tenga conto di queste persone che sono cresciute in un contesto mafioso e chiedono una mano per ricostruire una dimensione della vita». Il protocollo, rinnovato e ampliato dai ministeri di Giustizia, Interno, Istruzione, Università e Famiglia è stato recentemente aggiornato con un incremento dei finanziamenti, un ampliamento della rete di associazioni a sostegno e il coinvolgimento di nuovi uffici giudiziari: a quello di Reggio Calabria si aggiungono quelli di Catania, Palermo e Napoli. E adesso potrebbe fare da apripista al progetto di una legge per la tutela di minori e madri che escono dai contesti mafiosi. Da Reggio Calabria, propria da dove nacque, la richiesta è chiara: «Bisogna che ci sia questo aspetto legislativo, è questo che stiamo chiedendo, creare le condizioni di sicurezza per queste donne. Bisogna che la politica faccia in fretta, è una cosa urgente, ci sono tante donne che rischiano», afferma don Ciotti.
«E’ un’iniziativa importante, lo Stato non chiede nulla in cambio, come invece accade per i collaboratori di giustizia, ma può essere data la possibilità alle madri o ai minori che si trovano coinvolti in contesti di ‘ndrangheta di uscirne, di non ripetere le gesta di padri e nonni finendo in carcere o in dinamiche che possono essere fatali», ha spiegato il procuratore della Dda di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri. «Sono stati allargati i confini di applicazione di questo protocollo, che è importantissimo. Le procure che hanno aderito sono quelle dove questo fenomeno si sente maggiormente, ma non dimentichiamo che sarebbe un grosso errore pensare che la mafia sia radicato soltanto nel Meridione. Le indagini – ha affermato il procuratore presso il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria Roberto Di Palma – dimostrano in maniera matematica che ormai in tutta Italia si è radicato il fenomeno della criminalità organizzata. Ci auguriamo che questo protocollo possa diventare una legge perché possa essere applicata in quei territori dove forse c’è una sensibilità diversa, ma dove la presenza della criminalità organizzata è certa». (m.ripolo@corrierecal.it)
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