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ARCHEOLOGIA

Sudano: «La scure di San Sosti a Reggio Calabria? Sarebbe un onore» – VIDEO

Il neodirettore del MarRc sul “cold case”. Anche il comune del Cosentino in campo per la confisca del reperto al British. Altre due vicende simili

Pubblicato il: 06/04/2024 – 18:25
di Eugenio Furia
Sudano: «La scure di San Sosti a Reggio Calabria? Sarebbe un onore» – VIDEO

COSENZA I frammenti del fregio del tempio di Metauros conservati al Metropolitan di New York. La Persefone di Locri, la cosiddetta “dea di Berlino” arrivata in Germania in circostanze misteriose e non senza responsabilità e negligenze dello stato italiano. Non c’è solo la scure di San Sosti tra i tesori archeologici calabresi “sottratti” ed esposti oggi in importanti musei europei o statunitensi. Le metope provenienti dall’attuale Gioia Tauro e la statua sacra cui Giuseppe Fausto Macrì ha dedicato un libro meno di dieci anni fa raccontano una storia non tanto dissimile dal “cold case” rilanciato da Gino Famiglietti nel libro Casi freddi. La «scure letterata» e le sue peregrinazioni: dalla Calabria al British Museum.
«È un bene italiano» dice oggi il giurista e docente universitario già dirigente del Mibact. «Una legge doganale del 1816 – spiega – impone la confisca per i beni usciti senza permesso ed esportati senza pagare dazio; la norma è stata poi recepita in legge dello Stato e rimarca che qualunque bene acquistato non in buona fede è passibile di confisca. Thomas Newton, che compra la scure di San Sosti a Parigi tramite fondi del British, conosceva Torquato Castellani, figlio dell’Alessandro nelle cui mani il prezioso reperto era finito non si sa per quali vie».
La distanza dalla vendita (l’ascia votiva fu venduta 140 anni fa e pagata 5mila franchi dell’epoca) non può essere un ulteriore ostacolo alla restituzione? «Possono passare anche anni dall’acquisto» puntualizza lo studioso.

La confisca e l’iter per riportarla in Italia

Occorre che qualcuno, però – la sovrintendenza, l’amministrazione comunale di San Sosti – chieda a un pm di interessarsi della questione per disporre la confisca del reperto del VI secolo a. C., ma la giustizia può anche attivarsi autonomamente; oppure bisogna sperare in un accordo transattivo: «Già se il British apre un dialogo è positivo, fino a qualche anno fa lo esponeva come reperto campano…» commenta ancora Famiglietti, che riporta il caso simile della copertina lignea (“tavola di gabella”) dell’archivio di Siena finita in un’asta Sotheby’s in Germania, dopo essere stata depositata per anni nel museo di Colonia per farla crescere di valore: questa però non è confiscabile perché l’acquirente era in buona fede (è stata venduta per 1.132.000 sterline).
Il sogno è quello di riportarla a Sibari (San Sosti si trova nell’entroterra della potente, ricca e opulenta colonia achea, in una via di passaggio verso il Tirreno), o magari a San Sosti, oppure nel più importante museo calabrese, quello che ospita i Bronzi e che sarebbero una vetrina prestigiosa. «Per noi sarebbe un onore poter esporre la scure letterata, anche se penso che la collocazione ideale sia il territorio di provenienza, cioè Sibari»: così Fabrizio Sudano, insediatosi da meno di tre mesi da direttore del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria. Serve la volontà di tutti, però, gli fa eco Famiglietti.

Il dibattito organizzato a Cosenza dal PremioSila49 (da sin. Sangineto, Famiglietti e Sudano)

L’occasione per fare il punto sull’iter da seguire per riportare il reperto in Italia è stata offerta dagli organizzatori del Premio Sila 49, che hanno promosso un dibattito nella sede di via Liceo cui ha preso parte anche il docente Unical Battista Sangineto. Qualcuno degli intervenuti ha notato che Brexit non facilita un eventuale e per ora abbastanza improbabile rientro. Vincenzo De Marco, sindaco di San Sosti, ha detto che in questa battaglia «il Comune c’è» tanto che punta anche su una migliore valorizzazione turistica dell’indotto che può nascere attorno al reperto: ne è una prova il sentiero, appena inaugurato, che porta al sito in cui l’ascia fu rinvenuta; San Sosti organizza da anni anche un premio “Ascia votiva”. «Per noi – ha concluso De Marco – andrebbe bene anche se fosse esposta a Sibari o a Reggio, in ogni caso la speranza è che la faccenda si risolva senza arrivare allo scontro».

Il sentiero “Artemisia” appena inaugurato a San Sosti

Sul caso non sono mancate le interrogazioni parlamentari di politici calabresi di tutte le estrazioni: da Domenico Romano Carratelli (che rilanciò la vicenda dopo una importante mostra a Palazzo Grassi), fino a Franco Bruno e infine Margherita Corrado e Wanda Ferro. Tutte inevase o quasi: nell’ultima, il ministero ha risposto tramite un funzionario in modo alquanto superficiale: la vendita è avvenuta all’asta, in pubblico, quindi nessun problema. Famiglietti ha criticato questa risposta che non tiene conto della legislazione da lui stesso citata.

La vicenda e il libro

Intorno alla metà dell’800 (precisamente nel 1846) una «scure di bronzo, con greca iscrizione» viene rinvenuta nel centro della Valle dell’Esaro, nel Cosentino. L’importanza del reperto è notevole: addirittura, la sua restituzione grafica, pubblicata, insieme a una dettagliata scheda di catalogo su una nota rivista scientifica, è realizzata dal primo disegnatore dei Reali Scavi di Pompei. In ragione del suo “merito”, la scure è quindi uno di quegli oggetti di cui, secondo le leggi dell’epoca, è proibita l’esportazione «fuori del regno». E tuttavia, nel 1884, la scure viene venduta in asta a Parigi e viene acquistata da un emissario del British Museum. Ma come è arrivata la scure a Parigi? «Fra i documenti ufficiali che la riguardano – si legge nella scheda della pubblicazione – non c’è traccia di un eventuale permesso che ne abbia potuto consentire la legittima uscita dal territorio italiano. Eppure, l’indifferenza degli apparati amministrativi rispetto alla strana vicenda perdura nel tempo, nonostante le ripetute richieste di chiarimenti che, in merito all’accaduto, vengono rivolte, da parlamentari di ogni estrazione politica, appartenenti tanto alle forze di maggioranza quanto a quelle di opposizione, ai governi di volta in volta in carica».
Un frastornante silenzio, che dura da troppo tempo. Ci sarà un modo per trarre la vicenda dall’oblio in cui è stata confinata? La storia è raccontata, con un imponente apparato documentario, fotografico e bibliografico, in Casi freddi. La «scure letterata» e le sue peregrinazioni: dalla Calabria al British Museum (ed. Scienze e Lettere 2023). Sulla vicenda c’è anche un saggio di Francesco Capalbo (Della raminga scure, ed. privata 2009), non a caso citato più volte nel libro di Gino Famiglietti. Su cui è da riportare un curioso dettaglio: Salvatore Settis – che al caso ha dedicato un lungo articolo nel domenicale del Sole24Ore dello scorso 31 marzo – e lo stesso Sudano avevano indirizzato Famiglietti presso un editore calabrese ma la risposta è stata laconica: «Questo libro non ha mercato».

La copertina del libro di Famiglietti

Un altro dei “casi freddi” più noti

“Sulle tracce di Persefone, due volte rapita” è invece il libro di Pino Macrì (Laruffa editore, 2015), ingegnere locrese appassionato di storia, che racconta un caso simile: nel 1914, ad appena un mese dallo scoppio della Grande Guerra, fu esposto a Parigi, in una galleria privata, un capolavoro assoluto dell’arte antica, che a causa della mancanza delle mani, che sicuramente dovevano recare attributi atti ad identificarne con assoluta certezza la divinità destinataria del culto, fu denominata la “Dea in trono” (Thronende Göttingen). A conflitto bellico ampiamente in corso, la statua fu rocambolescamente acquisita dal Museo Pergamon di Berlino, dove fu esposta per la prima volta il 15 dicembre del 1915. Il successo e l’ammirazione per il capolavoro furono clamorosi, ma, allo stesso tempo, proprio l’incerta identificazione e le modalità di acquisizione, scatenarono una vera e propria ridda di ipotesi sulla sua origine, tuttora contesa fra gli epigoni delle antiche colonie Magnogreche di Taranto e Locri Epizephyrii. L’inchiesta di Macrì tenta di fare ordine nell’ingarbugliatissima vicenda, che vede addirittura profilarsi sullo sfondo possibili intrighi internazionali ed attività di spionaggio bellico, prima, e incredibili inefficienze nell’azione di recupero da parte dello Stato italiano, poi.

La copertina del libro di Macrì
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