LAMEZIA TERME «Ho conosciuto Rocco Anello casualmente la prima volta in assoluto quando mi fu presentato mentre mi recavo per alcuni problemi che avevo al cimitero con il soggetto che aveva fatto i funerali, perché avevo un problema con la lapide di mio padre». «Passando davanti a quello che era il cantiere dell’Eurospin, il mio accompagnatore a un certo punto mi dice di svoltare all’interno che ha visto un amico e lo doveva salutare». «Mi è stata poi presentata questa impresa e, proprio in quel momento, sopraggiungevano anche altre persone, tra cui il figlio di Rocco Anello e il capo cantiere del cantiere dell’Eurospin, l’impresa. Mi furono presentati e finì così».
Lo spiega in aula Francescantonio Tedesco, vibonese classe ’68, nel corso dell’udienza del processo “Imponimento”, nato dall’inchiesta della Dda di Catanzaro contro il clan di ‘ndrangheta Anello-Fruci. Tedesco, imputato, è un professionista attivo nel settore dei lavori edili e, come scrive l’accusa nei suoi confronti «impegnato nella vita politica locale, collaborava con il sodalizio nel mantenimento del controllo del settore edilizio, anche concorrendo ad esercitare pressioni sugli imprenditori in occasione di specifiche vicende estorsive».
Interrogato in aula dal pm Romano Gallo, Tedesco ha illustrato le origini dei rapporti con il presunto capo cosca Rocco Anello, già condannato in abbreviato a vent’anni di carcere. «Verso la fine di ottobre, sul mio cantiere, dopo aver piazzato le opere, sul cantiere di Renda, io e altri andammo perché c’erano da fare gli sbancamenti dell’area, in quel caso arrivò Rocco Anello che mi venne indicato dal mio committente come soggetto che avrebbe dovuto realizzare gli sbancamenti e altri lavori all’interno del cantiere». L’imputato si riferisce all’avvocato Vincenzo Renda, considerato il rappresentante di fatto della “Genco Carmela & Figli S.r.l.”. E quindi «nel proseguire i lavori sul cantiere, è vero, ho intrattenuto rapporti lavorativi con il signor Anello. Perché rapporti lavorativi con il signor Anello? Perché era il soggetto dell’impresa con il quale io mi interfacciavo». E quando il pm gli chiede se sapesse dei precedenti di Rocco Anello, Tedesco risponde: «No, no, perché io non ho mai lavorato nelle aree di quel comprensorio al quale nelle indagini fate riferimento, io, anche nei miei vari svolgimenti di consulenza perché ho partecipato a commissioni d’accesso per alcuni Comuni per infiltrazioni mafiosa, ma non ho mai lavorato in quel comprensorio».
Interrogato dal pm, l’imputato racconta poi di un episodio particolare. Una cena a casa di Rocco Anello, insieme alla sua famiglia. «Non mi andava di dire no» ha spiegato e «ci siamo intrattenuti con mia moglie a cenare» ed è stato in quella occasione che Tedesco ha appreso dei precedenti giudiziari di Rocco Anello. «Avevo detto “provate a chiamarlo perché io devo andare” e in questa occasione i familiari mi dissero che no, che il signor Anello non utilizzava telefonini perché aveva avuto un problema con la giustizia, pertanto, preferiva non comunicare a mezzo telefonino. Io rimasi basito». «A me rispondeva sempre – ha spiegato l’imputato – così come lo vedevo che utilizzava questo telefono anche per altro, in cantiere lo vedevo che era con il telefono. Rimasi basito, non entrai in merito. È stato arrestato, qua e là, e rimango ancora di più basito di questo. Comunque, non entro nei particolari».
«Una volta sola mi sono permesso, sul cantiere, a non accettare, un’impresa perché a me, aveva detto Renda che quel tipo di lavorazione l’avrebbe fatta Anello. Sul cantiere mi trovo un’altra impresa e io gli faccio a questo: “ma chi siete?”. Mi dice il nome, non mi ricordo, Mazzotta, e gli faccio: “ma siete della ditta Anello? Pensavo che fosse un dipendente della ditta Anello». «E sapete che cosa dico io ad Anello? Gli dico che deve regolarizzare le cose perché sul cantiere io non posso avere altre imprese nel momento in cui io so che quelle opere le deve realizzare tizio e caio». Tedesco racconta di essersi recato dall’avvocato Renda, con quest’ultimo che gli avrebbe risposto “vedi che non siamo su un cantiere pubblico, siamo su un cantiere privato. E poi a noi interessa che le opere vengano realizzate”. «Io gli ho detto che sì, le opere devono essere realizzate, ma che io devo sapere chi entra nel cantiere e chi non entra. E lui risponde “stai tranquillo, tutti i nomi relativamente alle ditte che fanno transito nel cantiere”». Altro tema affrontato dal pm in aula è quello che riguarda il finanziere, Domenico Bretti. «Anello mi chiama per prendere un caffè» spiega Tedesco «e c’era questo signore che si presenta come Finanziere del nucleo, non mi ricordo di cosa, a Vibo. questo mi dice che ha un’impresa di marmi, che ha sede a Filadelfia e quant’altro, se lo posso aiutare. Poi, quando siamo andati via, Rocco Anello mi ha chiesto se potessi dirlo a Renda, perché comunque era un finanziere, un uomo delle Forze dell’Ordine». A Renda, però, Tedesco spiega di non aver detto nulla.
È il presidente del Tribunale, Angelina Silvestri, durante l’udienza, a chiedere all’imputato se conoscesse o meno Giuseppe Mangialavori. «Siamo amici d’infanzia» spiega «ho condiviso molta parte della mia vita, sia goliardica e quant’altro. Eravamo proprio legatissimi, fratelli, ma ancora di più, ancora prima, ero molto legato al padre». Un rapporto che Tedesco definisce «storico» e spiega: «A me lui non ha chiesto voti, ma io ho chiesto i voti a tutti, dalla cassiera del supermercato al macellaio, a tutti, a chi potevo, anche perché venivamo da un periodo di crisi tra me e lui, avevamo litigato, sempre per questioni futili, di politica, però non ci rivolgevamo la parola da anni. Io il voto l’ho chiesto, se mi aiutava anzi, non nel voto soltanto, a Caridà e nello stesso tempo una sera vengo contattato da Prestanicola, il quale mi diceva che era stato invitato ad una riunione politica a Sant’Onofrio. A me interessava in quel periodo riappacificare questo rapporto con Mangialavori e volevo che lui capisse che io lo stessi aiutando e che non l’avevo abbandonato». Alla domanda dell’avvocato Belvedere su un eventuale interessamento di Rocco Anello, l’imputato spiega: «Aveva ragione, che la politica a lui non interessa, che è una cosa sporca, se non litiga con uno litiga con un altro, e poi nient’altro, mi ha sempre detto che lui di politica non si fa. Formalmente non gli ho mai chiesto il voto però di fatto era pure superfluo che io glielo chiedessi perché lui mi rispondeva, a prescindere da tutto, già no, che di politica non gli interessava». (g.curcio@corrierecal.it)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
x
x