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Omicidio Matteo Vinci, sei anni fa l’autobomba che uccise il biologo di Limbadi

Il 9 aprile 2018 l’attentato in cui restò gravemente ferito anche il padre Francesco. Oggi sul luogo dell’esplosione un monumento che lo ricorda

Pubblicato il: 09/04/2024 – 7:01
Omicidio Matteo Vinci, sei anni fa l’autobomba che uccise il biologo di Limbadi

LIMBADI La strada dissestata e stretta, le tipiche campagne calabresi intorno e una Ford Fiesta bianca. All’improvviso l’esplosione: a bordo dell’auto Francesco Vinci, un semplice contadino di 70 anni, e suo figlio Matteo, biologo di 44 anni. A perdere la vita è proprio quest’ultimo, mentre il padre se la “caverà” con gravi ustioni su tutto il corpo e un ricovero durato oltre due mesi. L’omicidio inquieta tutto il piccolo paese di Limbadi, che da anni lotta contro l’infausta nomea di quartier generale della cosca Mancuso e della ‘ndrangheta vibonese. Ma le tremende modalità fanno eco in tutta Italia: un’autobomba che richiama il peggior periodo stragista di Cosa Nostra e tra i presunti omicidi spunta ancora una volta quel cognome che appartiene a una delle ‘ndrine più potenti della Calabria: i Mancuso. Ancora più da brividi il movente che, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, ci sarebbe dietro l’attentato alla famiglia Vinci: un piccolo lembo di terreno. Una sottile striscia di terra ed erbacce per la quale è stato ucciso un ragazzo di 44 anni.

matteo vinci limbadi

L’omicidio di Matteo e le aggressioni precedenti

Matteo, ha raccontato la mamma al Corriere della Calabria, non c’entrava nulla in tutto questo, era completamente estraneo a quella diatriba per il pezzo di terra. Era partito, aveva viaggiato e girato il mondo. Al Nord, in Argentina, per poi rientrare nella sua Calabria, a Limbadi accanto a papà Francesco e mamma Sara, che nel frattempo cercavano di resistere alle imposizioni di stampo ‘ndranghetista dei vicini. Quello del 9 aprile 2018 non era il primo attentato subito dalla famiglia Vinci. Appena un anno prima, il 30 ottobre 2017, Francesco racconta di essere stato raggiunto da Domenico Di Grillo (condannato a 10 anni per questo episodio) e di essere stato aggredito con un forcone, fino a spaccargli la mandibola. Una ferita per cui Francesco fa ancora fatica a parlare e per cui, unita alle altre aggressioni e all’autobomba, oggi non riesce neanche a camminare o essere autonomo. Di quell’aggressione Matteo, che era all’estero, non sapeva nulla, fino al ritorno in Italia e all’incontro con il padre all’aeroporto. Da lì la decisione di tornare in Calabria e restare con i suoi genitori, dedicandosi al terreno di famiglia e alle “commissioni” da paese. Come mostra orgoglioso in una foto postata sui social qualche giorno prima dell’attentato.

matteo vinci

Il monumento e il ricordo

Il dolore più grande per Sara e Francesco arriva il 9 aprile del 2018. Matteo, che aiutava il padre con il terreno, era su quella Ford Fiesta bianca quando la bomba esplode. La macchina si ricopre di fiamme e mentre Francesco riesce a muoversi, Matteo rimane bloccato lì dentro. L’atroce attentato sarebbe stato ordinato proprio da Vito Barbara e Rosaria Mancuso, condannati in primo grado all’ergastolo per il suo omicidio. I presunti esecutori sono stati invece assolti. Alla base proprio la contesa di una striscia di terra confinante con il terreno appartenente ai presunti omicidi. Per i giudici della Corte d’Assise di Catanzaro, però, non si tratta di un attentato ‘ndranghetista, nonostante le modalità prettamente mafiose, ma del triste «epilogo di una contesa di vicinato». Oggi sul luogo dell’omicidio un monumento ricorda Matteo, così come una sua gigantografia ricopre la facciata di casa sua e dei suoi genitori. Proprio lì, l’idea di mamma Sara di creare in futuro un punto di ritrovo per i tanti giovani che «non dovrebbero andare via da questa terra». In attesa del giudizio d’appello con cui Sara e Francesco sperano di ottenere giustizia. (Ma.Ru.)

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