RENDE «Egregio Sig. Presidente Mattarella, a scrivere sono i dipendenti di Almaviva Contact Spa, azienda operante nei servizi di call center con sede a Rende. Almaviva, attualmente leader in Italia nel settore della tecnologia informatica e della digitalizzazione, è stata la nostra azienda sin dal 2012 e fino al 2022, anno in cui ha deciso di chiudere definitivamente i battenti e di metterci in cassa integrazione». Inizia così la lettera con cui i dipendenti della sede di Rende di Almaviva si rivolgono direttamente al Presidente della Repubblica. «Sono trascorsi – si legge – 12 lunghi anni di lavoro, durante i quali ci siamo specializzati nei ruoli più disparati; da operatori back office, formatori, team leader. Abbiamo lavorato per commesse di grandi aziende a partecipazione statale quali Tim e Alitalia, per poi passare al servizio Millemiglia Alitalia, fiore all’occhiello della compagnia, per finire al numero 1500 del Ministero della Salute. Grazie ad un contratto a tempo indeterminato siamo riusciti finalmente a realizzare i nostri sogni, come acquistare una macchina, una casa e mettere su famiglia, convinti di aver trovato l’agognata stabilità lavorativa e di non dovere emigrare per trovare un lavoro dignitoso, come spesso accade qui in Calabria. In questo periodo abbiamo lavorato sodo, rendendo alti i livelli di profitto e di sviluppo dell’azienda Almaviva. Ciononostante, da un giorno all’altro, la stessa ci ha buttati fuori, considerati al pari di un fardello di cui liberarsi al più presto».
La lettera continua: «In questa triste vicenda non siamo soli, perché ne fanno parte anche i colleghi delle sedi di Milano, Napoli, Palermo e Catania, per un totale di circa 700 lavoratori, oltre ai più vicini colleghi calabresi dell’Abramo Customer Care. Ma mentre nelle altre regioni, le istituzioni sono sempre state presenti, probabilmente dato l’alto numero di addetti coinvolti, e hanno partecipato attivamente a tutte le riunioni ministeriali sulla vertenza, facendo anche proposte di incentivi solidali ai lavoratori, qui in Calabria assistiamo ad un silenzio assordante da parte delle istituzioni, aggrappati alla sola speranza nelle azioni delle c.d. “politiche attive”. Inoltre – si legge – siamo stati privati della c.d. “clausola sociale”, quella clausola di legge contrattuale che ha permesso alla maggior parte dei nostri colleghi di transitare nel frattempo in altre aziende solide restando nella nostra regione e di mantenere il lavoro. Durante la Pandemia, quando lavoravamo per il numero 1500 del Ministero della Salute, dichiarato temporaneo sin dall’inizio, non abbiamo mai perso la speranza di continuare a lavorare, credendo nella promessa del governo di renderlo un servizio strutturale, promessa che non si è mai avverata. Ed eccoci arrivati ad oggi, depredati del nostro lavoro e ridotti al lastrico con avanti ai nostri occhi lo spettro del licenziamento e della disoccupazione».
«Pochi giorni fa, siamo venuti a conoscenza attraverso i media, della vertenza aziendale di Abramo Customer Care e della possibilità di un progetto di riqualificazione professionale nel settore della pubblica amministrazione, per i suoi 1000 dipendenti; di questo comparto facciamo parte anche noi Egregio Presidente, e seppur pochi, abbiamo il sacrosanto diritto al lavoro, come recitano l’art.1 e art.4 della Costituzione Italiana. Comprendiamo che non è suo onere e neanche sua competenza, risolvere una crisi aziendale, ma noi siamo abituati a lavorare e non chiediamo altro se non di continuare a farlo, con lo stesso zelo e impegno che ci contraddistinguono. Siamo calabresi e vogliamo restare in Calabria. Caro Presidente, il momento è difficile e noi siamo pronti a tutto pur di difendere il nostro futuro e quello dei nostri figli. Intervenga Presidente, non lasciando che sentimenti di angoscia e rassegnazione prevalgano sulla speranza. Stiamo tenendo duro ogni giorno, cercando in tutti i modi di mantenere il sorriso, per i nostri figli e per la nostra famiglia. Il tempo stringe e solo lei, Presidente, può cambiarne stabilmente la rotta. Con lo stesso spirito di lotta e di coraggio che accompagna la nostra ormai sopravvivenza, confidiamo nella sua attenzione e nel suo sincero aiuto. Meritiamo dignità e rispetto, fiduciosi che non saremo abbandonati».
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