REGGIO CALABRIA Il consigliere comunale di Reggio Calabria Massimo Ripepi è stato condannato per diffamazione aggravata e danno di immagine nei confronti di una dottoressa che frequentava la comunità religiosa della Chiesa cristiana “Pace” di cui è pastore. Lo ha deciso il giudice monocratico Francesco Me di Reggio Calabria davanti al quale si è celebrato il processo dove la vittima, la dottoressa Maria Romeo, si è costituita parte civile attraverso il suo avvocato Giuseppe Arcuri. Ripepi, che nelle settimane scorse ha annunciato la sua candidatura alle europee con il movimento del sindaco di Terni Stefano Bandecchi, è stato condannato alla pena pecuniaria di 600 euro e al risarcimento dei danni subiti dalla parte offesa che saranno quantificati dal Tribunale civile. Il processo era nato in seguito all’opposizione di Ripepi a un decreto penale di condanna che lo stesso aveva ricevuto dal gip Davide Lauro nel 2017. Nel capo di imputazione c’è scritto che il consigliere comunale «comunicando con più persone, offendeva la reputazione di Maria Romeo. In particolare, nella qualità di pastore della “Chiesa cristiana di Catona”, nel corso delle omelie pronunciate durante i riti liturgici e divulgate anche tramite pubblicazione sul sito internet www.pacetvrc.it e sul social YouTube, nonché in seno a lettere email, definiva la donna “capo di Satana”, “strumento nelle mani del diavolo”, “killer di anime”, “jazebel”, “donna falsa e pericolosissima” e “donna mandata dal diavolo per assassinare le anime”». «Finalmente, dopo numerosi anni, questa sentenza cristallizza ancora una volta la gravità dell’agire di Ripepi che avevo denunciato già scelto nel 2016 al questore di Reggio Calabria chiedendo l’ammonimento per stalking» è stato il commento della dottoressa Romeo. «In quella fase – ha aggiunto – la giustizia mi aveva dato ragione ammonendo Ripepi e invitandolo a farsi curare presso il centro di salute mentale. Oggi ringrazio il mio avvocato Giuseppe Arcuri che mi è stato accanto in ogni fase garantendo che la mia voce venisse pienamente ascoltata nei modi giusti e con le giuste modalità nelle sedi adeguate». (ANSA).
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