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l’inchiesta

I rapporti tra la curva dell’Inter e la ‘Ndrangheta. E la consapevolezza del club nerazzurro

Le parole in Commissione antimafia del presidente dell’Organo di vigilanza del club, Adriano Raffaelli

Pubblicato il: 12/04/2024 – 7:27
I rapporti tra la curva dell’Inter e la ‘Ndrangheta. E la consapevolezza del club nerazzurro

«Il fatto che la curva possa essere infiltrata è qualcosa su cui stiamo molto concentrati. E fra l’altro, sulla quale richiamiamo l’attenzione anche dei nostricalciatori». A dirlo nelle scorse settimane davanti alla Commissione antimafia del Comune di Milano è stato l’avvocato Adriano Raffaelli, presidente dell’Organo di vigilanza dell’Inter, club attualmente in testa alla classifica del campionato di serie A. Raffaelli era stato convocato insieme al senior security manager della società nerazzurra, Gianluca Cameruccio per fornire maggiori chiarimenti sulle dinamiche interne alla Curva Nord dell’Inter in riferimento soprattutto ai legami tra la tifoseria e la ‘ndrangheta. Il caso era stato reso pubblico dal “Fatto quotidiano” che aveva evidenziato come «se prima, con a capo Vittorio Boiocchi, poi ucciso il 29 ottobre 2022, vi erano (nella curva, ndr) le famiglie di Isola Capo Rizzuto, e cioè i Pompeo del quartiere milanese di Affori vicini al clan Flachi, oggi, con il direttivo in mano a Marco Ferdico, che nel 2017 ha patteggiato una condanna per droga e la cui sorella lavora per l’Inter, ci sono le famiglie di Rosarno, in particolare i Bellocco, nello specifico Antonio Bellocco nipote diretto del capobastone».

Lo svuotamento della curva dopo la notizia dell’omicidio di Boiocchi

Sempre Raffaelli, durante la sua audizione in Commissione antimafia ha rivelato che «l’articolo del codice di giustizia sportiva che riguarda i rapporti con la curva ha come rubrica la prevenzione dei fatti violenti». «E’ un articolo – ha sottolineato l’avvocato – che dice come bisogna comportarsi, e la prima cosa che dice è: signori non dovete contribuire in alcun modo ai gruppi ultrà. Questa è una regola che viene seguita in maniera molto diligente e che viene inculcata anche ai nostri calciatori». Questi ultimi, però, come sottolineato più volte dal Fatto quotidiano, negli ultimi mesi hanno instaurato rapporti stretti con gli esponenti di spicco della curva dell’Inter, regalando loro anche numerose divise ufficiali.
Nel suo intervento, il senior security manager Gianluca Cameruccio ha spiegato che la sua presenza nel club «mostra l’impegno che la società mette nei confronti dei problemi della gestione degli eventuali problemi di criminalità organizzata». Mentre sullo svuotamento della curva il 29 ottobre verificatosi durante una partita di campionato subito dopo la notizia dell’omicidio di Boiocchi, (migliaia di persone furono cacciate a forza dal settore dai leader della curva), ha detto che «la scelta di non opporre resistenza è stata presa dal dirigente di polizia del servizio. Ovviamente si è consultato con me». «Noi – ha però aggiunto Cameruccio – il 90% di queste persone siamo riusciti a farle rientrare dalle porte laterali».  
Altro tema trattato in Commissione antimafia è stato quello dei parcheggi interni allo stadio. Fu proprio l’Inter – ha scritto il Fatto – a segnalare alla società KissandFly, titolare dell’affidamento avuto dalla concessionaria Mi-Stadio, che un suo stipendiato e addetto ai controlli era Giuseppe Caminiti, parente del narcos calabrese Salvatore Papandrea e, per come emerge dall’indagine San Lorenzodella Dda di Milano, vicino al boss di San Luca Giuseppe Calabrò detto u Dutturicchiu». «Caminiti – ha detto Adriano Raffaelli – è stato mandato via da Kissandfly, perché l’Inter ha detto che Caminiti non deve circolare (…) perché Caminiti comunque era uno di quei personaggi che avevano dei comportamentiche non ci piacciono (…). Indichiamo noi questa cosa, e devo dire, che quando abbiamo segnalato la cosa, Kissandfly l’ha preso e l’ha mandato via».

I guadagni e la mentalità dei “tifosi”

Sono due le indagini sulla curva dell’Inter, che inevitabilmente finiscono per intrecciarsi, su cui lavorano da tempo la Procura di Milano e la Commissione Antimafia del Comune. In particolare in un fascicolo della Digos emerge una conversazione telefonica del maggio 2020 tra Andrea Beretta e Renato Bosetti, ex appartenenti al direttivo guidato da Boiocchi e oggi in quello di Ferdico. «Questo è lavoro! È marketing», dice Bosetti a Beretta, il quale risponde così: «parliamoci chiaramente: a me non è che mi piace star a buttar qua». E poi ancora: «se io lo faccio ci deve essere un rientro economico». «A me tutte ste cose qua: la mentalità non mene frega un cazzo, la mia vita gira intorno al guadagno». Una tesi condivisa da Bosetti: «Siamo in due, io la penso come te!». E poi ancora Beretta: «Lo sai benissimo, io non faccio le cose per lo striscione, a me non me ne frega un emerito cazzo! Volete andare in curva a cantare Bella ciao? A me non interessa». (fra.vel.)

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