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“Overture”, «nessun riferimento dei collaboratori cosentini ad un presunto gruppo Falbo»

L’avvocato Antonio Ingrosso replica alle accuse del pm della Dda. Che ha chiesto per Alfonsino Falbo una pena a 30 anni di reclusione

Pubblicato il: 12/04/2024 – 7:01
“Overture”, «nessun riferimento dei collaboratori cosentini ad un presunto gruppo Falbo»

COSENZA E’ la presenza di una presunta associazione, il presupposto da cui muove l’accusa – sostenuta dinanzi al Tribunale di Cosenza dal pm della Dda di Catanzaro Corrado Cubellotti – nel processo scaturito dall’inchiesta denominata “Overture”. Al termine della requisitoria, il pubblico ministero ha invocato pene pesanti per gli imputati: 30 anni di reclusione sono stati chiesti per Alfonsino Falbo (difeso dall’avvocato Antonio Ingrosso).

La difesa di Falbo

Prima della lettura della sentenza, che potrebbe avvenire entro il mese di aprile, continuano in aula le arringhe degli avvocati di difesa. Il legale Ingrosso ha respinto le accuse addebitate nei confronti del suo assistito accusato di essere «promotore, organizzatore, finanziatore» dell’omonimo gruppo criminale. L’avvocato ha cercato di provare l’inesistenza di una presunta associazione, sottolineando – a suo dire – i punti deboli dell’accusa formulata «solo e esclusivamente sul contenuto delle intercettazioni telefoniche e delle intercettazioni ambientali, senza altri riscontri». Il legale difensore di Falbo ha richiamato in aula le dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, in ordine cronologico, riferite all’imputato. Da Giuseppe Zaffonte a Celestino Bruzzese, passando per Luciano Impieri. Tutti conoscono Falbo direttamente e indirettamente, ma «le loro conoscenze si fermano al 2014-2015». Le contestazioni nel processo “Overture” vanno dal 2016 al 2019. Nessuno «ha detto nulla su questo presunto gruppo riconducibile a Falbo Alfonsino». Un altro pentito citato è Alberto Novello, che nel frattempo ha abbandonato la collaborazione la giustizia. «Sostiene che non esiste assolutamente un’organizzazione e che ognuno prendeva i propri soldi, ognuno aveva la propria sostanza stupefacente». Sull’accusa di essere perno centrale di un’associazione mafiosa, l’avvocato Ingrosso ha citato la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Catanzaro nella quale Sergio Raimondo è stato assolto per il capo d’accusa legato all’associazione dedita allo spaccio. A supporto, il legale ha sottolineato l’assenza di tutti quegli elementi «costitutivi di una associazione a delinquere di stampo mafioso» ovvero «la stabilità, la permanenza nell’ambito di un’organizzazione, la disponibilità di mezzi, il trasporto, l’approvvigionamento, la disponibilità di grosse somme di denaro».

Nessuno “stipendio” ai detenuti

E’ l’ex collaboratore di giustizia, Alberto Novello, a riferire nel corso del procedimento della figura di Riccardo Gaglianese, indicato come «persona autonoma» capace di «provvedere da solo al rifornimento di cocaina costituendo un canale di vendita alternativo rispetto a quello di Alfonsino Falbo». Una dichiarazione che serve da sponda all’avvocato Ingrosso per ribadire l’assenza «di alcun rapporto tra Riccardo Gaglianese e Alfonsino Falbo». Nessun sostentamento per i detenuti, questo un altro aspetto toccato dal legale. Che respinge l’accusa mossa nei confronti del presunto gruppo capeggiato da Falbo che «si sarebbe interessato anche del sostentamento in carcere degli affiliati e anche delle spese legali». (f.b.)

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