Una storia di mala Calabria da trasformare in bene comune condiviso. Il nostro Corriere nei giorni scorsi ha raccontato la storia del villaggio “Gioia del Tirreno” a Nicotera messo all’asta dallo Stato a prezzo stracciato dopo aver subito le attenzioni della feroce ‘ndrangheta di zona.
Una nostra eccellenza di accoglienza turistica. Lo chiamavano ex Valtur e ancora prima ex Mediterranèe. Nel 1977 qui avvenne una spettacolare rapina con finti carabinieri che entrarono da terra e con uomini provenienti via mare per un colpo da un miliardo in lire e gioielli. Erano i “Primi fuochi di guerriglia” comunisti che si erano alleati con la ‘ndrina del posto come testimonia uno di loro: “Certo l’avevamo fatta con chi «controllava» il territorio – e come altrimenti?”.
Un territorio che cambiava le prospettive della Calabria turistica. Il progetto originario era stato affidato a Pietro Porcinai, giudicato da molti il più grande paesaggista italiano. Scrisse l’architetto Bruno Zevi di quell’intervento a Nicotera: «L’area su cui sorge il villaggio era stata spianata dalle ruspe durante l’ultima guerra, per essere adibita ad aeroporto militare. Porcinai ne ha ricostituito la fisionomia primitiva animando il panorama desertico con dune plasmate dal vento e dalla sabbia…». Un luogo dell’anima. Chiuso dal 2011 e messo all’asta per il ridicolo prezzo di un milione di euro. Il villaggio ha il vincolo della Soprintendenza grazie alla battaglia dell’Associazione Pietro Portinai e considerato il sito in cui si trova è sempre stato nel mirino della ‘ndrangheta, visto che a Nicotera si va verso il quarto scioglimento del Comune per infiltrazione mafiosa. Gli appelli a recuperare il Villaggio da parte di nuclei di cittadinanza attiva tutti rimasti lettera morta. Furono piantati 15.000 alberi e specie vegetali nella macchia mediterranea dell’area in mezzo a campetti, teatro, piscine e maneggio e di fronte al mare. Vi lavoravano 550 dipendenti in larga parte del posto.
Hanno provato a cercare ragione i parlamentari Annalaura Orrico e Nicola Irto chiedendo al ministro Sangiuliano di esercitare il diritto di prelazione ma nessuno si è mosso. Sulla questione abbiamo ricevuto un input da Antonino De Masi, imprenditore anti-‘ndrangheta, che lancia una proposta che condivido e vale la pena percorrere: creare una “public company” partecipata dai cittadini e dalle associazioni sensibili. Pur non raggiungendo il milione di euro si darebbe un segnale al ministero della Cultura che evidentemente ignora questo paradiso di bellezza turistica dove sperimentare nuove forme di accoglienza. E l’iniziativa, che potrebbe raccogliere il sostegno di qualche lacerto di stampa democratica che resta in questo Paese, potrebbe avere anche l’interesse della Regione Calabria che potrebbe mettersi alla testa del progetto. Molti condizionali in questo mio scrivere. Ma vale la pena di tentare. Un bel progetto di autonomia differenziata autentica affinché i calabresi si possano riappropriare della bellezza dei loro beni strappandoli ai soliti profittatori. Pensiamoci. Noi ci siamo.
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È ufficiale, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla vigilia del Primo Maggio, visiterà lo stabilimento Gias di Mongrassano in provincia di Cosenza. Iniziativa nata l’anno scorso al Quirinale con la visita ad aziende leader dell’Emilia Romagna colpita dall’alluvione. Un riconoscimento per l’economia del lavoro reale. La visita avrà il suo campo centrale alla Granarolo di Castrovillari (Assolac) valido esempio di agroalimentare positivo a capitale nordista che valorizza il prodotto calabrese con un ibrido interessante. La storia della famiglia Tenuta, invece, è il simbolo di una Calabria positiva che conquista il mondo. Collocata in quell’area tra la Sibaritide e l’alta Calabria che a macchia di leopardo ha espresso tra le migliori storie di capitalismo aziendale positivo locale. In questo caso tutto si deve al genio di Antonio Tenuta, ex bancario che passa all’agricoltura e che ha l’intuito di mettere nelle celle frigorifere i pomodori destinati al macero. Riuscirà a surgelarli con brevetto suscitando l’interesse della Findus che crea i celebri “Quattro salti in padella”. L’azienda è un punto di riferimento di eccellenza calabrese. Anche quando muore il patron e alla redini della Gias sale Gloria, magnifica donna di Calabria per determinazione, cultura aziendale e degna erede di don Antonio. In 14 linee produttive oggi vengono lavorate 45.000 tonnellate di materie prime acquistate dagli agricoltori calabresi e della Puglia. Oggi Gias fattura 45 miliardi, produce 450 prodotti e un quarto viene esportato all’estero. Quella di Gloria è una storia di restanza dopo aver fatto quelle che serve per stare al passo della globalizzazione. Studi a Bologna, master a New York, primo impiego in una multinazionale a Milano. Poi il ritorno a casa. Donna tosta e colta, intraprendente, famiglia e azienda, affronta i mutamenti con determinazione come quello della siccità. La famiglia Tenuta aveva tentato anche l’investimento nei media, negli anni Novanta, tralicci per Telemontecarlo e nascita di Telestars con una redazione di gran livello. Ma le televisioni non sono surgelati e il settore venne dismesso da parte di chi sa curare i bilanci. Oggi Gias ha 160 lavoratori, 400 con gli stagionali. L’azienda avrebbe bisogno di una piastra del freddo, di quella di Gioia Tauro si parla da decenni, e Gias quindi è costretta a stoccare tra Caserta, Bari e Catania. Ora Gloria ha costruito e gestisce anche il museo aziendale del marchio che riceve numerosi visitatori. Gias-Tenuta è un pezzo di Calabria olivettiana in mezzo a molti disastri. Gloria Tenuta è stata nominata da Mattarella Cavaliere del lavoro. Il Quirinale per la sua visita del Primo Maggio in Calabria non ha avuto bisogno di suggerimenti su dove andare in visita istituzionale per la Festa del lavoro.
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A 67 anni è morta nella sua Catanzaro Sara Tafuri, all’anagrafe Rosaria. Attrice di successo interrotto in un infame incidente stradale nel 1986 che ne spezzò la carriera costringendola, dopo essere stata tra la vita e la morte , su una carrozzella, finendo dimenticata e affidata alle cure dell’amorevole papà costretto a girovagare gli ospedali italiani per salvarne la vita. Uno dei migliori pasticcieri di Catanzaro, il papà di Sara, e si sa che nella pasticceria si coltiva anche l’arte. Una bellezza mediterranea notevole quella di Sara, Si forma nelle temperie degli anni 70 nella sua Catanzaro con esperienze di teatro guidate dall’indimenticabile Pino Foglietti e che lanceranno in anni difficili anche Anna Maria De Luca e Pino Michienzi. Sara la tenta grande e la trova. Federico Fellini la “provina” e la sceglie per un ruolo nella Città delle donne e ne fa una sua icona come comprova un fumetto di Milo Manara che la ritrae accanto a Mastroianni. Anche Francesco Rosi, molto esigente nella scelta degli attori, la vuole con un ruolo di gran rilievo nel suo “Tre fratelli”. In filmografia anche un docufilm sullo scrittore calabrese Fortunato Seminara . Ma il suo ruolo chiave è l’essere stata protagonista dello sceneggiato Rai “Bebawi”, delitto della dolce vita romana e quindi vicenda molto felliniana. Dobbiamo riconoscere al sindaco di Catanzaro, Nicola Fiorita, di essere stato molto puntuale in una nota di ricordo e nel proporre al direttore del Magna Grecia Festival, Gianvito Casadonte, di omaggiarla nella sua prossima internazionale kermesse estiva proiettando “Bebawi” a Catanzaro e nell’istituire un premio nel suo nome da assegnare ad una giovane attrice emergente. Purtroppo ai suoi funerali erano in pochi insieme al fratello Pino, attore di teatro dialettale di affermato valore. Gli dei, purtroppo, sono invidiosi delle gioie delle donne e degli uomini. E, per questo, a Sara Tafuri abbiamo voluto dedicare questo sentito ricordo per un’icona felliniana dallo straordinario talento. Un’attrice calabrese da non dimenticare.
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