I primi segnali emergono da una annotazione dei Carabinieri risalente al 9 febbraio del 2018. In quella occasione, in particolare, i militari di Leinì, centro della città metropolitana di Torino, avevano elaborato una serie di informazioni relative ad un presunto traffico di armi legato a soggetti parte di gruppi di ‘ndrangheta, attivi nei territori di Chivasso e Brandizzo.
I carabinieri decidono così di procedere con alcune perquisizioni mirate, passando al setaccio alcune abitazioni di tre soggetti “segnalati”. E sarà proprio in una di queste che i carabinieri scopriranno un vero e proprio arsenale: una carabina ad aria compressa e una carabina calibro 22 il cui furto era stato denunciato nel 2010 ad Appiano Gentile. E poi un fucile, 285 munizioni di vario calibro e addirittura un teaser. Seguirà l’arresto di un soggetto (non indagato in questa inchiesta) che spiegherà in seguito di aver trovato casualmente le armi «perché sarebbero state abbandonate da qualcuno all’interno di un sacco, a Brandizzo». Tesi che non ha convinto i militari che, invece, hanno deciso di approfondire le indagini, ricostruendo la rete di relazioni nel tentativo di risalire alle persone che, in qualche modo, potessero avere un collegamento.
I militari hanno poi analizzato il telefono cellulare, riuscendo a trovare i contatti telefonici – in rubrica – riferibili a diversi soggetti della famiglia Carvelli, tra cui l’indagato Armando, ma anche sms e messaggi WhatsApp accuratamente cancellati. Si tratta – riporta il gip nell’ordinanza – di soggetti «componenti della famiglia Carvelli e in rapporti di frequentazione con componenti delle famiglie Carbone di Chivasso e Pasqua di Brandizzo», con particolare riferimento a Armando Carvelli, controllato in compagnia di Giuseppe Pasqua, classe ’43 di Mammola, e un altro soggetto di «significativo interesse investigativo, al pari di Armando Carvelli, in quanto già coinvolti in indagini della Distrettuale Antimafia piemontese», nuclei famigliari strettamente legati alla nota e potente cosca di ‘ndrangheta degli Alvaro di Sinopoli. «(…) la famiglia Alvaro è potentissima ed ha proprie strutture localizzate in tutta Italia, dal centro al nord. Anche in Piemonte la famiglia Alvaro ha propri esponenti. Intendo riferirmi alla famiglia Carbone di Brandizzo che fa parte integrante degli Alvaro. I Carbone sono ‘ndranghetisti, sono legati da vincoli parentali con gli Alvaro…», così in un interrogatorio del 2014 del collaboratore di giustizia Francesco Oliverio, descrivendo le dinamiche criminali del territorio ai magistrati. «Ho conosciuto i Carbone di Brandizzo e con loro ho intrattenuto relazioni in termini di droga, armi ed automezzi. Per tale ultimo aspetto intendo riferirmi agli autoveicoli presi dai Carbone a leasing, venduti all’estero e denunciati come rubati…».
Gli inquirenti decidono dunque di avviare le intercettazioni telefoniche e ambientali, acquisendo elementi fondamentali per la ricostruzione di uno scenario criminale che vedeva come protagonista Eduardo Carvelli, il figlio Roberto, e Danilo Scardino, contrapposti ad un imprenditore, vittima di condotte estorsive. Quest’ultimo, imprenditore edile dal 2006, annota il gip nell’ordinanza, si è trovato coinvolto «in una vicenda di detenzione di armi clandestine che ha visto l’interessamento, a vario titolo, anche di soggetti intranei o quantomeno contigui alla ‘ndrangheta di Volpiano, come Antonio Agresta, Antonio Mascolo e Giuseppe Carbone». In mezzo, un debito dell’imprenditore di 86mila euro rivendicato dai Carvelli, somma versata «per compiere un’operazione immobiliare in Brandizzo su terreni edificabili», scrive il gip. La “pressione” della famiglia Carvelli e i messaggi minatori veicolati dal presunto intermediario Scardino spingeranno l’imprenditore prima ad allontanarsi da Brandizzo, poi a chiedere “protezione” «ad Agresta Antonio e a Mascolo Antonio».
«(…) non ti sei fatto più vedere, ti sei andato a vendere il terreno… a me Carbone mi ha detto che lo hai venduto… dimmi tu cosa dobbiamo fare, venivo a trovarti perché lo so dove sei… e poi ti rovini tu e mi rovino io… non rispondi neanche più al telefono e a quel numero non rispondi, non si fa così… ti sei comportato da disonesto, no?». E ancora: «…te ne sei andato, è un anno che non ti sei fatto più sentire e buonanotte ai suonatori…». È il 17 aprile 2018 quando Eduardo Carvelli riceve una telefonata dalo. Carvelli «con tono tutt’altro che pacato» scrive il gip nell’ordinanza «gli faceva presente di aver saputo direttamente da Pino Carbone della imminente vendita del terreno».
Si tratta di un lotto di proprietà di un altro soggetto, più volte reclamato dai Carvelli di Brandizzo, ma senza averne titolo. «Il terreno – riporta il gip nell’ordinanza – non era mai stato venduto mentre l’imprenditore aveva sottoscritto soltanto un contratto preliminare di vendita senza formalizzare alcun definitivo trasferimento di proprietà». Il 17 maggio 2018 Carvelli riceve la chiamata di Scardino. Quest’ultimo lo tranquillizza, perché ora era lui ad occuparsi della questione del terreno. «(…) vedi che sto sistemando tutto, stai tranquillo… capito? Stai tranquillo…».
Qualche settimana dopo, però, Scardino riferirà a Roberto Carvelli di avere contattato l’imprenditore “vessato”, il quale con un SMS gli aveva riferito che «ormai era troppo tardi e che lui aveva risposto testualmente “ascolta una cosa Andrea io te lo scrivo con calma tu Mercoledì fai Patto ed io mercoledì sera voglio i soldi”» scrive il gip nell’ordinanza. «(…) e se poi quello si perde e non viene più?» chiede Roberto Carvelli. «(…) lui non è che non viene più… visto che lui ha fatto lo scemo…. adesso sono cazzi suoi…».
E ancora, con tono decisamente più aggressivo: «Danilo, ma questo cosa pensa che ci dà 50mila euro? Gli interessi voglio dei soldi anche… non lo so io Danilo come finisce ‘sta cosa… ma questo è un figlio di pu**ana, questo va solo ammazzato guarda, questo è un figlio di pu**ana…». (g.curcio@corrierecal.it)
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