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l’inchiesta

‘Ndrangheta e i Piromalli alla conquista di Milano: così acquisivano i locali. «Ora ti faccio vedere chi sono»

Dall’inchiesta della Dda emerge il ruolo di Cappellaccio, braccio destro di Girolamo Piromalli, elemento di spicco della ‘ndrina di Gioia Tauro

Pubblicato il: 15/04/2024 – 18:05
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta e i Piromalli alla conquista di Milano: così acquisivano i locali. «Ora ti faccio vedere chi sono»

MILANO Gli inquirenti della Distrettuale antimafia lo considerano un «elemento di assoluto spicco». Ha alle spalle rapporti e precedenti che lo legano in modo inequivocabile ad una delle cosche di ‘ndrangheta tra le più potenti, i Piromalli di Gioia Tauro. Perché il destino di Girolamo Piromalli, classe 1980, noto come “Mommo” o “Mommino”, di fatto, è una strada che non conosce alternative.
È il cugino di Antonio Piromalli (cl. ’72) ovvero colui che ha “preso” il potere della cosca ereditato dal padre “Facciazza”, Giuseppe Piromalli (cl. ’45), al 41bis dopo aver rimediato una condanna al termine del processo “Provvidenza”. La cosca, secondo la Dda di Milano, «non solo è riuscita a mantenere il pieno controllo degli affari illeciti sulla piana di Gioia Tauro» ma anche, ad espandere i suoi traffici «verso il territorio lombardo» e in particolare quello di Milano.
Una mira espansionistica supportata dal potere mafioso riconosciuto, come è emerso ad esempio anche in Liguria con l’operazione “La svolta” mentre in una recente inchiesta della Dda di Reggio Calabria, è emerso in particolare, anche uno stretto collegamento con Agostino Cappellaccio, classe ’85 anche lui di Gioia Tauro e finito in carcere, prestatosi all’intestazione fittizia a suo nome, da parte del primo, del lido “Panarea” di Gioa Tauro», riporta il gip nell’ordinanza, descritto dal collaboratore Domenico Ficarra quale «soggetto legato a doppio nodo alla cosca dei Piromalli ed a “Mommino” in particolare».

I rapporti

Le indagini compiute a carico del gruppo Giacobbe, dunque, avrebbero confermato «l’esistenza di intensi rapporti tra Salvatore, in particolare, Girolamo Piromalli e Agostino Cappellaccio», riporta il gip nell’ordinanza. Ci sono ad esempio le intercettazioni telefoniche e le numerose occasioni di incontro registrate al “Baldassarre Cafè” tra gli esponenti del gruppo Giacobbe e Piromalli Girolamo, sempre accompagnato dal fidato Agostino Cappellaccio, durante i quali i due gruppi criminali, oltre tenersi reciprocamente aggiornati sui rispettivi affari “di famiglia” si prestavano concreto supporto nell’esercizio delle rispettive attività criminose. Sarebbe emerso, dunque, che il gruppo dei Piromalli «non solo avesse acquisito il controllo di fatto di numerose attività commerciali milanesi, in particolare operanti sul lucroso mercato della “movida” e della ristorazione a Milano», scrive il gip, «ma non disdegnasse di perpetrare sul territorio lombardo operazioni delittuose, meno complesse e redditizie, ma di sicuro ed immediato profitto, come i furti di merce viaggiante su strada», scrive ancora il gip.
Come è emerso dall’inchiesta della Distrettuale antimafia di Milano, tra il 2018 e il 2021 Agostino Cappellaccio, sempre sotto la direzione ed il coordinamento di Girolamo Piromalli, «avrebbe acquisito la titolarità effettiva delle seguenti attività economiche: Dom Cafe’ (avente insegna “Corso Como 5”); Bar – Sala Giochi “Vizio Italiano”; Ristorante “La Scarpetta”; Ristorante “Un Mare Di Sfizi” e il Ristorante “Cör Italian Restaurant”».  

L’operazione di acquisto del “Dom Cafè”

È il giugno del 2018 quando gli inquirenti iniziano a monitorare il «gruppo Giacobbe» e in particolare un soggetto (non indagato) considerato un intermediario. Nelle conversazioni intercettate, in particolare, si parla diffusamente di un’operazione commerciale di cui andava particolarmente fiero. «Sarebbe stato lui, infatti, a fare da garante per Agostino Cappellaccio» riporta il gip «per l’acquisizione della titolarità di fatto del Dom Cafe’ in Corso Como 5 a Milano» locale di proprietà di una società «ma gestito da Ismail Ferizi, soggetto kosovaro gravato da diversi precedenti di polizia per ricettazione, furto, invito alla prostituzione, associazione per delinquere, porto di armi e rapina», non indagato in questa inchiesta. Un paio di mesi dopo, però, iniziano gli imprevisti. A Ferizi, infatti, viene notificata una interdittiva antimafia con conseguente revoca della licenza. Suscitando la rabbia di Cappellaccio.

I primi problemi

«…io lo ammazzo quando viene, a me voleva fare il pacco, io quando viene qua lui non ha nemmeno terra per tenerlo, forse non hai capito a me volava truffarmi…». In una intercettazione Cappellaccio si sfoga con veemenza. «Cappellaccio accusava dichiaratamente Ferizi di essere lui, ed i suoi precedenti penali, la vera causa dell’interdittiva antimafia», riporta il gip nell’ordinanza. E da lui pretende subito la restituzione dei 7.300 euro che anche quel mese gli aveva anticipato per l’affitto, cui, poi, «si sarebbero aggiunti ulteriori 30.000 da lui spesi (a quel punto, inutilmente) per avviare il locale».  Nel frattempo, l’intermediario «si adoperava alacremente per concretizzare il piano che aveva già esposto a Ferizi di acquisire lui stesso la gestione del locale, tramite una nuova società fittiziamente intestata a terzi, da aprire sotto nuova insegna, curando peraltro in prima persona gestione e costo dei lavori di ristrutturazione», annota il gip nell’ordinanza.

«Ora ti faccio vedere chi sono io»

Ma è nella telefonata minatoria del 14 settembre del 2018 che Cappellaccio scatena tutta al propria forza intimidatrice, sostenuta dalla vicinanza alla cosca dei Piromalli. «Dove sei?» chiede a Ferizi. «Mica ti sto avvisando, 10 minuti e lo scasso io il Dom ora, di nuovo… Tu m’hai mancato di rispetto ora ti faccio vedere chi sono io… ora ti faccio vedere, ora ti faccio vedere chi sono io». «Sono ad Agrate Brianza. Vuoi venire? Sono qua» risponde Ferizi, apparentemente senza paura. «Allora forse non hai capito Miche’» rilancia Cappellaccio «io ti sto dicendo fra quanto ci vediamo a corso Buenos Aires, forse non hai capito…». E ancora «Forse non hai capito che tu col Dom non lavori più no? perché te lo dice Agostino…». E Ferizi insiste: «…ascolta, non fare con me il mafioso che non me ne frega un cazzo a questo punto se parli così… non posso impazzire per te io. Capisci o no?».

L’operazione di acquisto e l’inaugurazione

Nonostante la spiegata spavalderia, Ferizi «era certamente intimorito da Cappellaccio» scrive il gip nell’ordinanza «tanto che nei giorni a seguire lo stesso intermediario cui si era rivolto per chiedere aiuto e che si era prestato a favorire una mediazione, gli consigliava di assecondarlo – nell’immediatezza – con qualsiasi mezzo, anche consegnandogli delle pietre preziose», scrive il gip.
Nel frattempo, proprio l’intermediario, con l’aiuto di un avvocato, era riuscito ad acquisire una società intestata a terzi e affidata ad una testa di legno, «con la quale era riuscito a rilevare il “Dom Cafè”. Un’operazione di acquisto riuscita alla perfezione: il locale, infatti, è stato riaperto, con relativa festa di inaugurazione, il successivo 30 dicembre 2018, con insegna “Corso Como 5 – Lounge Bar”. (g.curcio@corrierecal.it)

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