COSENZA Il presunto gruppo D’Ambrosio, l’ingerenza sulle elezioni amministrative di Rende del 2019 e i rapporti con l’ex sindaco Marcello Manna e l’ex assessore Pino Munno sono stati al centro di una delle ultime udienze del processo scaturito dall’inchiesta denominata “Reset“, celebrato dinanzi al tribunale di Cosenza in composizione Collegiale. In aula bunker a Lamezia Terme, al termine della testimonianza e del controesame sostenuti dall’ufficiale di pg Alfredo Lucanto, prende la parola Massimo D’Ambrosio. L’incipit dell’intervento è riferito alla inesistenza, da parte dell’imputato, dell’omonimo gruppo criminale. «Questo gruppo D’Ambrosio non è mai esistito!».
D’Ambrosio prosegue e si sofferma su un passaggio, quello della presunta ingerenza della mala nella competizione elettorale rendese del 2019. «Passiamo al voto, questo voto di scambio, dicono mafioso…L’assessore Munno io lo conosco dall”81-82, sono anni, sono oltre trent’anni che abito al Villaggio Europa, lui ancora non era nemmeno assessore forse, sicuramente non era assessore, lo conosco da anni! Quando ci sono state le elezioni (…) camminando per strada incontrai l’assessore Munno, si parla del più e del meno, io lavoravo alla spazzatura, quindi lo conoscevo, lui era in quei settori e in quei rami, mi aveva chiesto se io avevo qualche impegno con qualcuno, gli dissi no, io non ho nessun impegno, non ho preso impegni con nessuno». D’Ambrosio accenna allo scambio di battute avute con il futuro assessore e oggi imputato nel processo “Reset”. “Se non hai preferenze – mi disse a me – se mi vuoi votare, mi puoi votare, sennò non fa niente”, “va bene, volentieri”. E sulle lamentele e doglianze rivolte a Munno e riportate dal teste in aula, D’Ambrosio risponde così: «Io quando chiamo l’assessore Munno faccio lamentele da cittadino! Io lavoravo e pagavo pure le tasse, nel quartiere siccome conosciamo l’assessore, si sapeva che è in quel ramo e c’erano delle buche, io telefono all’assessore Munno e gli dico: “Assessore, chiedo scusa, ma potete far vedere chi è competente di far tappare queste buche?”, perché pure io ci ho figli, ci ho nipoti, giocano, cadono, si facciono male! Magari poi ti chiamano pure ai danni! Anzi, io pure mi premunivo verso il comune, ma credo che questa è una lamentela da cittadino, non è un accordo che io ho fatto con Munno!». Ed ancora «o quando gli faccio la telefonata e dico: “Assesso’, chiedo scusa, hanno fatto mettere queste panchine qui, ma l’erba è cresciuta talmente alta che ha superato le panchine, ma possibile che non c’è nessuno che la viene a tagliare? Potete vedere chi è di competenza e li fate venire a tagliare?”, e se mi manda a tagliare l’erba non solo sotto casa mia, perché io abito a Via Rossini, non è che ci abito solo io a Via Rossini, ci abitiamo tante e tante persone!».
Altro capitolo, il rapporto e l’incontro con l’allora sindaco di Rende Marcello Manna. Anch’egli imputato nel processo “Reset”. «Il sindaco se l’ho visto tre volte sono state assai! E quella volta che l’ho visto gli ho detto solo ed esclusivamente se era possibile portargli un curriculum per far lavorare mio figlio, in quanto mio figlio aveva avuto problemi con la giustizia, poi la Cassazione l’aveva annullato, quindi credo che non… non crei problemi a nessuna azienda se lo può mettere a lavorare». Secondo Massimo D’Ambrosio Manna avrebbe risposto: “Fammi un curriculum, portamelo e non ti preoccupare”».
Le dichiarazioni spontanee rese dall’imputato, si chiudono con una discolpa in merito alle presunte estorsione perpetrate. Massimo D’Ambrosio sostiene di non aver «mai fatto nessuna usura e nessuna estorsione a nessuno! Mi sono solo prestato per quel che potevo, quel poco ad un gruppo di amici e conoscenti! Quindi quando facevo qualche piccolo favore, qualche piccola cortesia a queste persone era a livello amichevole e di amicizia! Lei potrà dire ma lei chi era, Padre Pio?! Io non mi sentivo di dirgli no a uno per 100 o 200 euro se aveva un problema familiare (…) se uno viene e dice mia moglie ha un problema, ha questo questo e questo, se io lo posso aiutare lo faccio con tutto il cuore, nel mio piccolo!». La chiosa rivolta alla presidente del Collegio giudicante è un invito a «giudicare bene» le dichiarazioni che saranno chiamati a rendere i collaboratori di giustizia. «Valutate bene, le chiedo la cortesia di valutare bene anche i collaboratori di giustizia, perché quando parlano di me i collaboratori di giustizia, non dicono niente! Io non le ho mai conosciute queste persone! Tanto che dicono che io non sono una persona affiliata, che io non sono una persona che percepisco stipendio!».
(f.benincasa@corrierecal.it)
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