SOVERIA MANNELLI C’è un agriturismo a Soveria Mannelli, 3000 abitanti sulla Sila Piccola, che propone un originalissimo chilometro zero: non ’nduja o peperoncino, ma cuori di bambù. Si chiama la Rosa nel bicchiere, in omaggio al poeta calabrese Franco Costabile, allievo di Ungaretti, di cui ricorrono quest’anno i 100 anni dalla morte, ed è una piccola oasi completamente immersa nel verde nato da una scommessa vincente della famiglia Rubbettino che, nella stessa comunità, guida l’omonima e ormai storica casa editrice.
Non è nuova la Rosa nel bicchiere alle sfide. Qualche anno fa catturò l’attenzione della stampa nazionale per aver fatto scoprire agli italiani (ma anche a molti calabresi) che i tartufi non nascono solo tra le Langhe, ma anche poco distante da qui e sono ugualmente pregiati e profumati. Oggi rilancia con un menù a base di bambù, prodotto nel bambuseto impiantato a poche decine di metri dai fornelli dell’agriturismo sui quali il talentuoso chef Antonio Torchia predispone una serie di piatti che non strizzano l’occhio alla Cina quanto alla altrettanto lunga e nobile tradizione culinaria nostrana.
Il primo appuntamento è per domenica 21 aprile. Tra i piatti proposti spiccano i cuori di bambù ripieni di podolica calabrese – una rivisitazione delle tradizionali melanzane ripiene che profumano le estati a queste latitudini – con salsa di spinaci e bambù croccante o, ancora gli spaghetti alla chitarra con crema di bambù al pepe rosa, julienne di bambù affumicato e pomodorini confit. Bambù persino per dessert con una mousse alla vaniglia con topping di confettura di bambù aromatizzata al limone e cubi di bambù caramellati.
«Il germoglio di bambù ha un sapore leggermente acidulo e vagamente ferroso che ricorda in parte quello degli asparagi e in parte quello dei carciofi – ci spiega Chef Torchia – ma è più delicato e, per questa ragione si rivela davvero versatile in cucina dove può sostituire anche alcuni ortaggi nei piatti più tradizionali. In più è un insospettabile alleato della nostra salute: il bambù è infatti ricco di fibre e di proteine vegetali che contribuiscono a contrastare il colesterolo cattivo, non a caso ci sono in corso numerosi studi sugli effetti benefici del bambù finalizzati a un suo utilizzo da parte dell’industria farmaceutica e nutraceutica».
Ma perché impiantare un bambuseto sulle giogaie della Sila? «Intanto perché è bello e si sposa armonicamente con il territorio circostante – ci spiega Florindo Rubbettino, editore e imprenditore –, inoltre, il bambù, si rivela un prodotto versatile adatto a molteplici scopi che non si limitano, ovviamente, al solo settore alimentare. Pensiamo per esempio all’edilizia biosostenibile o, ancora, ai molteplici utilizzi che l’incredibile resistenza ed elasticità delle fibre di bambù consentono nell’industria del legno o del tessile e perfino in quello della carta, per non parlare del monouso, dove il bambù potrebbe presto sostituire la plastica rappresentando un’alternativa non solo ecologica ma perfino meno dannosa per la salute. Infine, il bambù è in grado di produrre il 35 per cento in più degli alberi e ad assorbire una percentuale di anidride carbonica superiore del 40%. Non male per il nostro emisfero sempre più inquinato! Da tempo la nostra casa editrice ha all’attivo un progetto che si chiama “Green Books”, che si propone di piantare un albero per ogni libro stampato e che ad oggi conta più di duemila alberi messi a dimora. Molti di questi alberi arricchiscono il Parco “Carta”, un parco d’arte contemporanea interamente costruito nel verde che circonda l’azienda. Il bambuseto è un tassello di questo sistema in cui natura, cultura e responsabilità sociale e ambientale dialogano tra loro».
Rubbettino non si sottrae al rischio del fuoco incrociato dei puristi della cucina di tradizione che potrebbero vedere la proposta della Rosa nel bicchiere come un atto sacrilego: «La ricchezza gastronomica identitaria di una regione come la Calabria è enorme, ma questo non preclude la ricerca e la combinazione di nuove possibilità e il bambù è una di queste. Inoltre non dobbiamo dimenticare che alcuni prodotti che consideriamo identitari come il peperoncino e i peperoni, i pomodori, il mais o le patate sono giunti in Calabria in tempi abbastanza recenti. La nostra cucina di tradizione è per sua natura aperta alle contaminazioni provenienti dall’esterno. Vive di filoxenia, come noi calabresi d’altronde».
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