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‘Ndrangheta, processo al clan Soriano: gli atti intimidatori e «la regia» del boss Leone

Nelle motivazioni del processo d’appello, il ruolo di Soriano Leone, condannato a vent’anni: dalle lettere minatorie dal carcere ai fatti

Pubblicato il: 18/04/2024 – 8:47
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, processo al clan Soriano: gli atti intimidatori e «la regia» del boss Leone

VIBO VALENTA Un escavatore danneggiato, numerosi colpi d’arma da fuoco esplosi contro l’abitazione e l’auto della figlia e, infine, l’esplosione di una bomba carta nel giardino di casa. Tre episodi chiave che hanno riguardato l’imprenditore Antonino Castagna: imputato quale «partecipe della cosa Mancuso» nel processo “Black money”, sentito in qualità di testimone e, ancora prima, di denunciante nel processo “Nemea”, al termine del quale – in appello – i giudici hanno condannato a vent’anni Leone Soriano, a tre anni e quattro mesi Rosetta Lopreiato, moglie del boss Leone, assolta dal Tribunale di Vibo Valentia. E poi a 13 anni e 5 mesi di reclusione Luca Ciconte, a 13 anni e 7 mesi di reclusione Caterina Soriano, a 17 anni e 6 mesi di reclusione Giuseppe Soriano, a 14 anni e 11 mesi Francesco Parrotta, a 11 anni e 8 mesi e a 5 anni e 6 mesi  Giacomo Cichello.

La condanna di Leone Soriano

L’imprenditore, come è emerso, è finito nel mirino di Leone Soriano. Nelle motivazioni, i giudici ricostruiscono gli episodi risalenti al 31 gennaio e all’11 maggio del 2017, alcuni mesi prima rispetto alla sua scarcerazione, quando quello che gli inquirenti definiscono il capo dell’omonimo clan ha inviato dal carcere due lettere dal carattere intimidatorio all’imprenditore, «intimandogli il pagamento di somme di denaro a titolo risarcitorio per le spese legali sostenute dalla sua famiglia a seguito di quelle denunce, accusandolo di avere agito in combutta con Luni Mancuso al fine di fare arrestare lui e la sua famiglia e manifestandogli i suoi propositi intimidatori che avrebbe realizzato appena tornato in libertà». Propositi poi attuati una volta uscito dal carcere.

Le lettere minatore dal carcere

Secondo i giudici della Corte d’Appello, dunque, nelle missive inviate dal carcere da Leone Soriano a Castagna, lo invitava perentoriamente «ad assumersi le sue responsabilità per averlo denunciato» facendogli presente che aveva speso 80mila euro per la propria difesa, scrivendo “ritornerò se Gesù vorrà” e ancora “come sai sto facendo i processi e volevo chiederti un favore se mi puoi prestare 10mila euro che come uscirò ci sconteremo… ciò che può essere utile, chiudendo con te la situazione da buoni amici…”, costituiscono una pretesa estorsiva». I successivi atti di violenza presso la sede dell’impresa e l’abitazione di Castagna, oltre che presso l’abitazione della figlia, «costituiscono alti di intimidazione di chiara matrice estorsiva» riconducibili secondo i giudici ad un disegno unitario «di intimidazione di Castagna» finalizzato a piegarlo alle richieste illecite «anche attraverso attacchi diretti alla sua famiglia». Secondo i giudici, inoltre, «è del tutto irrilevante il tempo trascorso tra l’uscita dal carcere di Soriano a quello in cui è stato compiuto il primo atto intimidatorio», anche perché, come è emerso dalle intercettazioni, c’è stata un’attività precedente «di programmazione e pianificazione» attraverso vari sopralluoghi «finalizzati ad individuare con esattezza gli obiettivi da colpire, le possibili vie di fuga, le modalità da attuare in concreta», scrive il giudice nelle motivazioni.

Gli “ordini” di Soriano

Tutto «inequivocabilmente riconducibile a Leone Soriano» come emerge dalle intercettazioni in cui «da ordini su quando lanciare la bomba, sul travisamento da usare, sulle vie di fuga da seguire e viene espressamente nominato Castagna». Ma non è tutto. Come ricordato dal giudice nelle motivazioni, il giorno successivo all’attentato con la bomba carta, nella conversazione tra Leone Soriano, Francesco Parrotta ed Emanuele Mancuso «risulta con estrema chiarezza che quest’ultimo si offre di partecipare all’evento delittuoso al posto del suo amico Giuseppe Soriano, arrestato il giorno precedente». Per i giudici della Corte d’Appello, come spiegato nelle motivazioni, le dichiarazioni rese in dibattimento da Emanuele Mancuso, «hanno fornito conferma ulteriore della dinamica dei fatti così come ricostruita attraverso le intercettazioni, dei soggetti partecipanti alle conversazioni captate e di quelli che hanno posto in essere materialmente le condotte delittuose».

Il distributore di benzina

Altro episodio riportato nelle motivazioni è quello legato agli atti intimidatori compiuti ai danni di un distributore di benzina, ricostruiti attraverso le intercettazioni dalle quali emerge con estrema chiarezza «la programmazione dell’attività delittuosa da parte di Leone Soriano e l’esecuzione da parte di Francesco Parrotta e Giacomo Cichello, unitamente ad Emanuele Mancuso». C’è la conversazione risalente al 13 febbraio 2018 tra Leone Soriano, Parrotta e Mancuso. Soriano spiega di «avere già fatto lasciare davanti al distributore dei proiettili», con l’intento di aspettare qualche giorno per «vedere come si sarebbe determinato l’imprenditore», è scritto nelle motivazioni, spiegando che, in caso non avesse proceduto al pagamento «lo avrebbe fatto “saltare in aria”». La vittima non paga e così, il 15 febbraio, «venivano registrate conversazioni tra Parrotta e Cichello che effettuavano giri di ricognizione e, la stessa sera, i due, unitamente ad un terzo soggetto, utilizzando la macchina di Cichello, hanno «esploso alcuni colpi di arma da fuoco verso la serranda del distributore di benzina», è scritto ancora nelle motivazioni. (g.curcio@corrierecal.it)

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