LAMEZIA TERME Un potere esercitato nei territori di «Filadelfia e Acconia, a ridosso del Lametino e con una tendenza naturale all’espansione a Pizzo e la zona industriale di Maierato, che la porta a convergere, fatalmente, con i Bonavota». È il pm della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo, a tratteggiare la cosca di ‘ndrangheta Anello, e lo ha fatto questa mattina in aula bunker, a Lamezia Terme. Terminata, infatti, la fase istruttoria dibattimentale, è iniziata ora la fase di requisitoria dell’accusa per il processo “Imponimento” e che si concluderà con le richieste di condanna.
Le persone coinvolte nell’inchiesta sono accusate, a vario titolo, di gravi delitti, fra i quali, associazione mafiosa, associazione dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, riciclaggio, fittizia intestazione di beni, corruzione. E poi turbata libertà degli incanti, alterazione delle aste pubbliche, falso, truffa, detenzione illegale di armi. Tutti reati aggravati dalle modalità mafiose e per aver agevolato – secondo l’accusa – la cosca di ‘ndrangheta Anello-Fruci attiva dal Vibonese al Lametino, tra Filadelfia e Curinga. Ma anche i Tripodi di Porto Salvo, i Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia, i Cracolici di Maierato e i Bonavota di Sant’Onofrio. Tra le persone coinvolte anche Francescantonio Stillitani, imprenditore ed ex assessore regionale al Turismo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa con la cosca Anello-Fruci, così come il fratello, Emanuele. Tra i nomi “eccellenti” anche Francescantonio Tedesco, ex consigliere del Comune di Vibo.
Davanti al Tribunale collegiale di Vibo, dunque, il pm del pool antimafia di Catanzaro ha ripercorso la storia del clan la cui «incidenza criminale è legata alle linee di comando che portano al potere centrale alternativo ai Mancuso, ottenendo la legittimazione criminale dalla cosca Bellocco di Rosarno e da Umberto in particolare, in una idea di espansione della logica della ‘ndrangheta». Quella degli Anello, comunque, è per l’accusa «una cosca molto snella, efficiente. Poco attenta alle questioni rituali, perché la gestione di Rocco e Tommaso Anello è un approccio pratico che rispecchia anche le loro personalità». «È una infiltrazione indolore quella esercitata dagli Anello, attraverso rapporti con la “zona grigia” e una vocazione imprenditoriale che si sviluppa in tantissimi settori: edilizia, alberghiero turistico, armi, droga, rapporti con la Svizzera».
Durante la sua requisitoria, De Bernardo ha detto che «il problema principale è stato la mancanza di un accertamento giudiziario sistematico dell’esistenza della cosca Anello», riuscendo comunque ad ottenere risposte. «C’è però l’aspetto cronologico» ha spiegato e «abbiamo la fortuna di aver acquisito e raccolto le dichiarazioni di collaboratori che coprono tutto l’arco temporale, ma anche al passato. Ma abbiamo, soprattutto, collaboratori che illustrano le fasi “a cavallo” delle contestazioni di questo processo, dal 2002 al 2004, per esempio». E De Bernardo fa i nomi: «Ci sono stati Mantella e Pulice che ci portano al 2010, Moscato e Angotti che ci portano ancora più avanti e poi i più recenti Arena, Emanuele Mancuso e Comito che ci danno contezza degli Anello nei periodi più recenti». «Siamo in grado, senza soluzione di continuità, di affermare come la cosca Anello abbia continuato ad operare con a capo i due fratelli, per tutto quest’arco di tempo».
Forze contrapposte «che si uniscono nel caso delle richieste estorsive, specialmente nei territori di confine come Pizzo», ha spiegato De Bernardo, richiamando poi «una conversazione importantissima che chiude un cerchio», tra Monteleone e Nazzareno Bellissimo, quando i due parlano dei rapporti tra gli Anello e i Mancuso, tra il boss Rocco e “Zio” Luigi. «Sponsorizzato dai Mancuso, Mallamace inizia a collaborare con gli Anello» ricorda il pm «e da questo spunto, Monteleone racconta dei rapporti storici, quelli con Damiano Vallelonga, e spiega anche perché morto. Ad un certo punto, nella contrapposizione con i Mancuso, questi ultimi, che prima lo avevano aiutato anche militarmente, chiaramente gli dicono che non lo avrebbero più protetto, “quando verranno a romperti le corna noi ce ne laveremo le mani”» spiega in aula De Bernardo. «Rocco Anello, invece, si salva e si riallinea, dopo un incontro poi avvenuto in un locale di Milano». Il pm, nell’illustrare la conversazione, ricorda come Monteleone avesse parlato anche dei Bonavota. «Monteleone spiega che avevano “allacciato là sotto”, inteso ovviamente Limbadi e i Mancuso, e Rocco Anello aveva fiutato tutto, prima degli altri. Monteleone parla di un “sistema”, quando tutti hanno chiesto di stare a posto, di non rompere i coglioni agli altri, dobbiamo fare le cose con il silenzio», prendendo spunto dalle richieste del boss “zio” Luigi Mancuso. «Ecco perché Rocco Anello concede ai Bonavota qualche sgarro, nella logica della pace unitaria, invocata da Luigi Mancuso», conclude il pm. (g.curcio@corrierecal.it)
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