LAMEZIA TERME «Sfatiamo il falso mito secondo cui c’è una distinzione tra una ‘ndrangheta dalle “forme rituali” e quella “moderna”: sono strettamente legate e certi atti vengono commessi perché, a monte, ci sono assetti ben definiti e caratterizzati da determinate regole». Lo ha ricordato questa mattina il pm della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo, in avvio della requisitoria del processo Imponimento, nato dall’inchiesta del 2020 contro la cosca Anello-Fruci. Secondo il pm, analizzando questo processo in particolare «bisogna interrogarsi sui “ruoli intermedi”, quelle cariche che si pongono tra la figura centrale del “Crimine di Polsi” e quelle periferiche, le ‘ndrine sul territorio». Con un occhio ai grandi appalti, alle grandi opere, ai lavori che hanno interessato interi territori o anche di confine «gestiti secondo le regole della ‘ndrangheta e delle “doti” come la Santa, stabilite dalla “Provincia”», elementi che rappresentano il cuore pulsante della corposa inchiesta della Distrettuale antimafia.
Nella sua requisitoria il pm ha poi parlato di quelle che ha definito «industrie di protezione» quelle cioè che riguardano «una vasta platea, entità e soggetti che “chiedono protezione”» ai referenti dei clan sul territorio perché «ci sono sempre queste dinamiche dietro l’agire delle cosche di ‘ndrangheta. Cercare continuamente la corruzione fa parte del Dna, in termini di benefici, protezione e favori, creando una rete interna ma anche con altri elementi della società esterni». Per De Bernardo, dunque, parliamo di «una logica transattiva che presuppone, comunque, l’uso della violenza e della minaccia» perché la legittimazione contrattuale «deriva sempre dall’illecito, dalla forza di intimidazione», ribadisce, perché il mafioso può incidere su certi lavori e poteri contrattuali «proprio perché “sprigiona” la carica mafiosa». E affinché possano garantire il loro potere contrattuale, i clan «devono necessariamente controllare una vasta zona», spiega il pm. «Due princìpi, la dote e la corruzione, che viaggiano parallele, stabilendo comunque delle “regole”, ordine e legittimazione criminale».
Come ha illustrato ancora nella sua requisitoria il pm De Bernardo, quando c’è questo equilibrio «le vicende estorsive non si presentano in maniera banale, ma il processo decisionale che all’interno dell’organizzazione criminale porta alle estorsioni è sempre frutto di un potere decisionale che confluisce in un’unica risultante». Già perché secondo De Bernardo «ci troviamo spesso davanti a condotte estorsive portate avanti tra soggetti correi e di varie consorterie che, un tempo, avremmo visto come separati, distinte. Ora, per fortuna, questa visuale completamente cambiata ci consente di capire meglio come si arriva alla pretesa estorsiva che coinvolge gruppi e articolazioni criminali differenti ma, alla fine, non così tanto».
Il riferimento a Polsi e ai Mancuso, già ampiamente illustrato nel processo “Rinascita”, ha «ripercussioni anche in questo processo», chiarisce De Bernardo ma ci sono anche le dichiarazioni di oltre 30 collaboratori di giustizia che «hanno contribuito al dibattito, tra cui D’Urso, Scriva, Franco Pino, Bartolomeo Arena ed Emanuele Mancuso. Sono stati loro a delineare il rapporto tra il potere centrale e le cosche del Vibonese», ha sottolineato De Bernardo, «con la prova della centralità della cosca Mancuso già dagli anni ’80, attraverso la federazione e l’alleanza della criminalità reggina come Piromalli e i Pesce, in un contesto in cui governavano il territorio vibonese avendo sotto di sé un arcipelago di gruppi criminali con i soliti referenti per le varie città». Poi, dopo l’arresto di Luigi Mancuso avvenuto nell’operazione “Tirreno”, tra l’altro eseguita a Reggio Calabria, c’è stata «una cessione di quel ruolo a Pantaleone Mancuso “Scarpuni”» ha spiegato il pm, ed è stato in questo periodo che la cosca Anello è entrata in gioco e cioè «una volta sparito il potere da mediatore del “Supremo”», alimentando le ambizioni delle consorterie criminali in quel periodo storico «rappresentate da elementi più vigorosi e agguerriti, contrapporsi al potere centrale dei Mancuso, sempre in una ottica di riequilibrio degli assetti all’interno di una organizzazione che non perde il suo carattere unitario».
E quindi il tentativo di guadagnare spazio su Pizzo, Maierato, con i Mancuso che «avevano sempre svolto un ruolo egemone attraverso i loro proprio referenti, i Cracolici su tutti, con gli assetti di fatto ridiscussi con gli Anello e i Bonavota, alleati con Mantella su Vibo Valentia e sotto l’egida di Damiano Vallelonga, tenteranno questo rimescolamento delle carte». (g.curcio@corrierecal.it)
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